L'ape punge: come e perché


Non sono certamente pochi coloro che, venuti in contatto con l'ape (o per motivi professionali o per hobby o per pura curiosità o per aver incrociato la sua traiettoria di volo), avranno provato di persona l'esperienza di essere punti da questo insetto. L'esperienza, certamente "dolorosa", richiama una delle non poche attività svolte dall'ape durante la sua vita: la difesa della colonia dai nemici. L'ape cosiddetta guardiana, infatti, assume talvolta un atteggiamento del tutto particolare (zampe anteriori sollevate, antenne piegate in avanti, mandibole aperte) e staziona all'ingresso degli alveari pronta a lanciarsi su eventuali nemici. A tale attività di sorveglianza si dedica in modo esclusivo l'ape operaia, dotata di un'importante arma di difesa/offesa, il pungiglione; a riposo esso è accolto entro una tasca addominale e viene estroflesso, all'estremità dell'addome, solo al momento dell'impiego. Parte terminale del pungiglione di ape operaia con i canalicoli laterali che si diramano dal canale principale per la fuoriuscita del veleno


Il pungiglione, detto anche "dardo", è una struttura tipica degli individui di sesso femminile: infatti non è altro che una modifica dell'ovopositore. Questo è un organo tipico delle femmine di molti Imenotteri che viene utilizzato per deporre le uova, inserendole nei substrati in cui si svilupperanno le larve da esse sgusciate. Poichè le modalità di ovideposizione e di allevamento della prole nella società delle api e in molti altri insetti vicini alle api esonerano tale struttura dalla funzione originaria, essa può trasformarsi in un valido organo di difesa e di offesa. Vista la sua origine, il pungiglione è assente nei fuchi, notoriamente inoffensivi.
Il pungiglione è costituito da tre parti articolate tra loro: lo stiletto, caratterizzato dalla punta affilata e da due rilievi che corrono lungo la sua lunghezza, e le due lancette, ognuna provvista di un solco longitudinale e di una decina di dentelli, simili a uncini rivolti all'indietro. I due rilievi dello stiletto, simili a "rotaie", si incastrano nei solchi delle lancette. Gli stessi pezzi delimitano un piccolo canale lungo il quale scorre il veleno prodotto da specifiche ghiandole ed iniettato nella ferita, non soltanto attraverso l'apertura posta all'apice dell'aculeo, ma anche attraverso canalicoli laterali che si diramano obliquamente al canale principale dagli ultimi cinque uncini delle lancette stesse.
Al momento della puntura, il pungiglione non penetra completamente nei tessuti della vittima, ma l'azione di robusti muscoli consente uno scorrimento reciproco delle diverse parti. Gli uncini delle lancette sono utilissimi per il successo di questa azione, ma possono anche diventare causa di morte per l'ape che ha inferto il colpo. Infatti, se la puntura interessa un tessuto elastico, come quello del corpo umano, il pungiglione, tramite gli uncini, resta conficcato nel substrato; lo sforzo dell'ape che si vuole allontanare dalla vittima fa sì che si strappino il pungiglione, gli ultimi segmenti addominali, una porzione dell'intestino nonché le ghiandole del veleno che rimangano attaccate al pungiglione stesso. L'ape è destinata, di lì a poco, a morire: è un bell'esempio di come, negli insetti sociali, gli istinti possano andare oltre l'"egoismo" biologico del singolo. Ciò non avviene, invece, quando la puntura interessa il tegumento rigido di altri insetti; in questo caso l'ape può retrarre il pungiglione e tornare a vivere normalmente.

In caso di puntura inferta all'uomo è necessario provvedere all'estrazione del pungiglione e dei suoi annessi evitando tuttavia il tentativo di toglierlo con le dita perchè la pressione esercitata potrebbe iniettare del veleno ancora presente nelle ghiandole. L'estrazione fatta con delicatezza (ad esempio usando l'unghia) impedisce un'ulteriore immissione di sostanza tossica la cui quantità iniettata è in relazione al tempo di permanenza del dardo nella parte offesa.
Anche durante l'attività di difesa l'ape, dimostra di essere un insetto tipicamente sociale; entrano infatti in azione alcuni messaggi feromonici. Al momento della puntura l'ape libera nell'aria l'isopentil acetato, un feromone d'allarme che provoca nelle api compagne uno "stato di all'erta", richiamandole sull'obiettivo punto; gli eventuali bruschi movimenti della vittima che ha subito la puntura scateneranno un ulteriore attacco da parte di altre operaie. Quindi, in caso di una puntura d'ape, è di rigore l'assoluta calma - cosa d'altra parte difficile soprattutto per chi non è apicoltore ! - altrimenti è facile subirne altre in tempi immediatamente successivi.
L'isopentil acetato può venir emesso dall'ape guardiana anche senza aver colpito la vittima: per far questo solleva l'addome ed estroflette il pungiglione esponendo una zona membranosa a livello della quale viene liberato il feromone molto volatile che si diffonde nell'ambiente circostante. Tale dispersione viene opportunamente favorita anche da un contemporaneo veloce agitare delle ali; in tal modo altre api sono poste in allarme. Tramite le ghiandole mandibolari, poi, l'ape produce ed emette un altro feromone d'allarme (il 2-eptanone) che però è meno efficace del precedente.
Anche l'ape regina è dotata di un pungiglione, un po' diverso da quello dell'ape operaia, presentando le lancette munite di alcuni (3-4) piccoli uncini laterali. La loro diversa conformazione permette alla regina di estrarre abbastanza agevolmente il pungiglione dalla vittima colpita, che quasi sempre è un'altra regina, assicurandosi così la supremazia nella colonia.


5.Parte terminale del pungiglione di ape operaia con visibili le due lancette con bordo seghettato (in primo piano) e lo stiletto (in secondo piano)
6. Sezione del pungiglione di ape: le lancette e lo stiletto formano il canale di scorrimento del veleno
Il pungiglione è associato a un complesso laboratorio chimico, cioè a ghiandole che producono un secreto ("veleno") da iniettare nella vittima: sostanze come fosfolipasi, jaluronidasi, melittina, istamina, tipiche componenti del veleno dell'ape, possono causare nei vertebrati superiori e nell'uomo effetti tossici e allergici di varia gravità, talvolta assai severi o drammatici, in relazione sia al numero complessivo di punture inferte, sia alla sensibilità individuale di chi le subisce. Non va dimenticata, poi, la possibilità che la ferita prodotta dall'aculeo si infetti.

Aggressività
Vi sono vari fattori che influenzano l'aggressività delle api, ben noti agli addetti ai lavori.
Le api appartenenti a specie diverse possono presentare aggressività differenti; un esempio: Apis dorsata dell'Indonesia è aggressiva, mentre Apis cerana, presente nelle medesime regioni, è notoriamente mansueta.
Anche la razza ha una decisa influenza. E’ noto il caso di Apis mellifera adansonii o ape africana, praticamente intrattabile per il suo comportamento aggressivo. Questa razza, introdotta in Brasile negli anni '50 a scopo di studio, fuggì dagli allevamenti in ambiente controllato divenendo un vero flagello. Fra le razze presenti in Italia, Apis mellifera mellifera è meno mansueta di Apis mellifera ligustica o ape italiana, forse perchè posta ai confini meridionali della sua area geografica naturale.
L'istinto aggressivo può diversificarsi da colonia a colonia in relazione al patrimonio genetico della regina ed è variabile anche tra i componenti di una stessa famiglia. Per comprendere quest'ultima variabilità occorre ricordare come l'ape regina durante il volo nuziale si sia accoppiata con più maschi; la discendenza, pur provenendo dalla medesima madre, può pertanto presentare caratteri diversi in relazione all'apporto del patrimonio genetico dei diversi padri.
L'aggressività di una colonia può essere originata anche da cause contingenti, come l'andamento stagionale e le condizioni metereologiche avverse, in particolare vento e pioggia. Al contrario la buona stagione e la presenza di abbondante raccolto rendono docili le api.
Altri fattori influenzanti l'aggressività sono i movimenti bruschi, i colori scuri che contrastano con il colore chiaro del cielo, gli odori forti (compreso l'odore tipico del sudore dell'uomo) e le vibrazioni.

Le aree di aggressività----->vedi figura
Secondo Frediani (1992) che riporta dati ottenuti da ricercatori francesi, nei riguardi dell'aggressività si possono individuare tre zone denominate "perimetro difensivo", "corridoi di raccolta" o "piste" e "aree di raccolta".
Il "perimetro difensivo" corrisponde ad un'area di estensione variabile attorno a ciascun alveare; in tale zona si hanno costantemente manifestazioni di aggressività intraspecifica ed extraspecifica (cioè fra ape ed ape e fra ape ed altri animali): la prima avviene limitatamente all'ingresso dell'alveare e la seconda nelle restante parte del perimetro stesso. In questa zona, ovviamente, esistono delle alte probabilità di un attacco difensivo da parte delle api stesse; è la zona più critica per qualunque estraneo, compreso l'uomo, soprattutto quando il raccolto è scarso.
Le "piste" o "corridoi di raccolta" corrispondono a quei tragitti aerei che collegano l'alveare con le "aree di raccolta" e che le api ripercorrono facendo la spola fra i campi di bottinamento e il loro nido. Le piste, inspiegabilmente costanti da un anno all'altro, decorrono a un'altezza variabile di 10-15 metri dal suolo ed assumono un andamento a forma di cono a mano a mano che si allontanano dall'alveare. Entro queste piste si manifestano fenomeni di aggressività sostanzialmente extraspecifica. Il fatto che questi corridoi corrano ad un'altezza abbastanza elevata è certamente un vantaggio per l'uomo poiché se così non fosse, certamente più numerose sarebbero le persone punte: infatti le api, quando tornano all'alveare con il nettare, sono piuttosto aggressive. Poichè in condizioni atmosferiche sfavorevoli tali percorsi possono abbassarsi e avvicinarsi al terreno, possono esserci aggressioni all'uomo o agli animali anche a distanza notevole dall'alveare, in circostanze quindi abitualmente giudicate anormali. Vi sono infine le cosiddette "aree di raccolta", nelle quali i comportamenti aggressivi sono essenzialmente intraspecifici e di lieve entità; infatti in queste aree l'ape difficilmente attacca l'uomo poichè quando essa bottina il nettare e/o il polline dai fiori non è aggressiva e al massimo ha dei fenomeni di aggressività con altre api per contendersi il fiore migliore.
In conclusione: l'uomo corre il pericolo di essere attaccato sia nel "perimetro difensivo" sia nelle "piste di raccolta".
Frediani D., 1992 - Ma l'ape non è aggressiva punge solo per legittima difesa. Apitalia, 19 (18): 17-19.
Suggerimenti
Alcune precauzioni comportamentali vanno tenute presenti quando si va in campagna, dove, oltre alle api, sono presenti numerosi apidi sociali e solitari, muniti di pungiglione. Evitare di bere bibite, specialmente nei mesi estivi e soprattutto quando ci si trova in luoghi aperti o durante i picnic, senza guardare prima nel bicchiere e senza badare alle lattine delle bevande, specialmente se queste sono già state aperte e in parte consumate: infatti potrebbe essere penetrato qualche insetto attirato dal liquido spesso zuccherato.
Non addentare frutti, in particolare quelli succosi e molto maturi, senza averli preventivamente ben osservati.
Fare attenzione alla presenza di nidi che si possono trovare nelle cavità dei tronchi e dei muri, in fori nel terreno (specie nei prati), nelle canne ecc.
Non usare spray, lacche, profumi perchè l'ape molte volte ne è attratta. Non avvicinarsi agli alveari senza le difese necessarie usate dagli apicoltori (maschera, affumicatore, ecc.).
Non disturbare sciami e non distruggere nidi di apidi selvatici, perchè questi se molestati, aggrediscono. In ogni caso non fare mai movimenti bruschi nel tentativo di liberarsi dagli insetti, perchè si potrebbe peggiorare la situazione; cercare invece di allontanarsi in fretta ma senza agitarsi.
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Tutte le fotografie con ingrandimenti del pungiglione dell'ape sono state eseguite con il microscopio elettronico a scansione dal prof. N. Milani del Dipartimento di Biologia applicata alla Difesa delle Piante, Università di Udine; il disegno è opera del prof. A. Sensidoni del Dipartimento di Scienze degli alimenti, Università di Udine.
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BIBLIOGRAFIA
Dade H. A., 1985 - Anatomy and dissection of the honeybee. I.B.R.A. ed., Cardiff, 158 pp. + 20 tavv.
Frilli F., Barbattini R., Milani N., 2001 - L'ape, forme e funzioni. Calderini Edagricole, Bologna, 112 pp.
Istituto Nazionale di Apicoltura, 1983 - Cenni di morfologia e biologia dell'ape domestica. I.N.A. ed., Bologna, 20 pp.
Snodgrass R. E., 1956 - Anatomy of the honeybee. Cornell University Press (U.S.A.), 334 pp.
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R. Barbattini,
F. Frilli
Dipartimento di Biologia applicata alla Difesa delle Piante Università di Udine
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tratto da il "Notiziario ERSA" http://www.csa.fvg.it/Web%20ERSA/prinotiziarioERSA.htm