L'allevamento delle
api
Parole chiave: immagini, rural landscape history, Magna Grecia, api,
allevamento, giardini, apicoltura, paesaggio rurale, storia,
Taranto, Puglia, Italia meridionale, gravine, edilizia
rurale |
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L'allevamento delle api ha nel
Tarantino una lunghissima tradizione che rimonta ad Età Classica, quando
il miele che vi si produceva era paragonato, per qualità, al più
celebrato di quei tempi, quello che si produceva sul Monte Imetto,
in Grecia. L'importanza di questa particolare
forma di allevamento
derivava dal fatto che il miele costituiva non solo l'unico
dolcificante di ampio uso (la canna da zucchero era, in
effetti,stata introdotta in Italia dagli Arabi, ma la sua
coltura rimase limitata per lo più ad alcune zone della Sicilia e lo
zucchero prodotto aveva costi proibitivi), ma anche un rimedio
medicamentoso molto utilizzato; la cera, inoltre,
costituiva il principale combustibile per l'illuminazione,
insieme all'olio, ma era
utilizzata anche per la concia delle pelli,
oltre ad avere funzione
votiva.
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Tre masserie
del Tarantino erano denominate dell'Avucchiara,
per la presenza di un importante allevamento di api.
Due sole sono sopravvissute: Masseria Auchiaro, in basso, e
Giranda (nell'immagine in alto l'avucchiaro
tutt'ora in uso), la quale, tuttavia, ha assunto la
denominazione di una famiglia che la possedette a
cavallo fra '600 e '700. La terza, posta nei pressi
dell'attuale cimitero di San Brunone, è andata
distrutta.
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L'apicoltura veniva praticata molto
diffusamente nelle campagne, tanto che (nel Medioevo) molti dei
canoni corrisposti, in cambio della concessione di
terre, agli enti ecclesiastici proprietari erano proprio sotto
forma di cera. In genere praticata a livello
domestico con sistemi artigianali, molta attenzione
vi prestarono invece i regnanti svevi, che
raccomandarono la costante presenza di apiari e di
personale specializzato in ogni masseria regia.
Monumentale parete
attrezzata a contenere arnie nell'avucchiaro di
Lonoce, presso Grottaglie.
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Da sinistra:
ingresso al monumentale aparo di Avetrana (in
alto, si noti l'edicola votiva);
conci scavati nel tufo (nella gravina
di Fantiano, Grottaglie) e piloni per l'inserimento
degli avucchi (presso Masseria Russolite,
Crispiano) |
Altrove praticata utilizzando gli
alveari naturali, cioè come una delle tante attività che si
svolgevano nel bosco, l'apicoltura del Tarantino prevedeva
invece una sorta di l'addomesticamento delle api. Esso
iniziava con la raccolta degli sciami selvatici
(pecchi o assami), presenti negli incavi dei
tronchi d'albero o negli anfratti delle rocce. Venivano quindi
posti in arnie orizzontali a forma di cassa (avucchi),
fatte di pietra (piloni) o di assi di legno. Nella
parte orientale del Tarantino, che risente maggiormente del costume
più propriamente salentino, prevalevano le prime (in
apari, anche monumentali), tutt'intorno alla
città, invece, era più frequente il secondo. Le
prime venivano semplicemente impilate, sino a
formare intere pareti, ma nelle aree interne della Murgia, dove
mancava la calcarenite, gli avucchiari di pietra
costituivano un monoblocco (lineare, ad L o U rovesciata) le cui
arnie erano formate con pietre informi e pezzi di tufo cementati con
malta (bolo). Sia quelle di pietra che quelle di legno,
accuratamente esposte a mezzogiorno, erano riparate da tettoie o
adagiate all'interno di grotte, per lo più in caratteristici
incavi (conci) scavati nel tufo delle
pareti di lame e gravine. I loro resti costituiscono
uno dei tratti più caratteristici del paesaggio degli insediamenti
rupestri, anche se è azzardato attribuirli in toto ad età
medievale. Più spesso rappresentano modalità di riutilizzo di
ambienti abbandonati nel corso della crisi
tardomedievale. Dopo l'apertura delle arnie (il
che avveniva in media 3 volte l'anno, in primavera, in estate-
quando dava il miele migliore-, ed all'inizio d'autunno) ed
il taglio dei favi, avveniva la spremitura del
materiale raccolto mediante appositi torchi, che separavano così il
miele dalla cera. A tale scopo si faceva ricorso a strumenti come le palombe (di ferro), i fisconi e i fiscoli (di fibra
vegetale, giunco in genere) simili, anche per forma, agli
omonimi attrezzi utilizzati nella produzione
dell'olio.
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Bocca
d'api (avucchio) di legno, in cui sono evidenti i favi
(a sinistra).
Interno di abitazione in grotta annessa ad
avucchiaro, nella Gravina della Madonna della Scala
(Massafra). Evidente nella parete l'alloggiamento per un
torchio ( a destra). |
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Spesso gli
avucchiari risiedevano all'interno di giardini murati, e ciò
per una sorta di simbiosi mutualistica: le api avevano
infatti bisogno di cure assidue, di acqua in estate e di
supplementi alimentari nel corso dell'inverno, ma nel
contempo costituivano ottime impollinatrici degli alberi da
frutto. Altre volte li si rinvengono, invece, in aree incolte, pur
sempre all'interno di strutture ad esse dedicate, cinte da muri di
difesa.
L'allevamento delle api costituiva
un'attività molto redditizia. Essendo le api autonome
da un punto di vista alimentare, fatta eccezione per le iniziali
spese per l'allestimento dell'alveare, esso non
comportava, in pratica, spese gestionali. Nel corso dell'
Età Moderna gli avucchiari erano gestiti
separatamente rispetto alle restanti attività della masseria o
del giardino, restando nella diretta disponibilità del
proprietario o essendo dati a società. In quest'ultimo
caso il conduttore della masseria era impegnato a reperire gli
sciami (assami) negli incolti, a sistemarli all'interno delle
arnie, a custodirle ed a prestare le necessarie cure, il tutto a
spese e guadagno comuni. Al termine del contratto gli sciami
venivano, in genere, suddivisi a metà.
Per una rassegna di immagini degli
alveari tradizionali più interessanti del tarantino si consulti l'Atlante.
Riferimenti
bibliografici
Ghinatti F: Aspetti dell'economia
agraria della Magna Grecia agli inizi dell'impero, in Critica
Storica III(1973), pp. 369-396.
Ghinatti F:
Economia agraria della chora di Taranto, in Quaderni di
Storia I (1975), pp 83-126.
Naso I.: Apicoltura, cera e
miele, in Uomo e ambiente nel Mezzogiorno normanno-svevo,
Atti
delle ottave giornate normanno-sveve: Uomo e ambiente nel
Mezzogiorno normanno-svevo, Bari 1989, pp.
203-240.
V.U. Celiberti: Per la storia
dell'apicoltura pugliese, in Archivio Storico Pugliese,
XVII (1964), pp. 242-247.
La Statistica del Regno di
Napoli, Roma, 1988, pp. 205-207.
E. Imbriani-M. Mainardi:
L'apicoltura in Terra d'Otranto nella società tradizionale,
Lecce, 2000.
19 maggio 2002 15:59 |
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