L’acido ossalico ha funzionalità varroacida per contatto ( letteratura varia ) .
La metodica di applicazione ( topica ) sia per gocciolamento che per sublimazione prevede che il principio attivo , veicolato in un caso come soluzione di acqua e zucchero , come aerosol nell’altro , sia diffuso dal mezzo veicolante su un cospicuo numero di api fra quelle che compongono l’alveare. Tuttavia , secondo la Professoressa Rademacher , che ha effettuato studi con delle sostanze traccianti , per raggiungere l’efficacia terapeutica ( superiore al 90 % ) si ha necessità di ulteriore veicolazione dal pur consistente numero di api raggiunto con l’applicazione anche alle restanti . A fin che sia così ,la famiglia deve avere una certa attività ( ovvero non deve essere chiusa in glomere ) e questo avviene solo a temperature superiori ai 12 /13 °C.
Per precisione scientifica l’uso pratico dell’ossalico si è fermato ad un livello piuttosto primitivo dato che alcuni autori hanno successivamente dimostrato come potrebbe essere utilizzato per gocciolamento “ al contrario “ ovvero a concentrazione molto più bassa e con una quantità molto superiore di soluzione zuccherina veicolante , in maniera probabilmente più efficace e sicuramente meno tossica, raggiungendo “ di suo “ una quantità molto superiore di api all’applicazione .
L’errore che più frequentemente viene commesso nella pratica è di trascurare questa necessità di ulteriore veicolazione e di effettuare i trattamenti ( con entrambe le metodiche ) in situazioni di assoluta mancanza di movimento delle api .
L’efficacia risulta così inferiore a quella teoricamente possibile e regolarmente la colpa di questo insuccesso viene attribuita alla presenza di covata ; ancora una volta trascurando che , come dimostrato dal Professor Currie nel 2006 , la covata invernale ha infestazione bassissima , mai superiore al 3 % , per il fatto che la varroa non trova facilmente le nutrici “ autobus “ per essere portata su di essa.
Si voglia considerare che non esistono lavori scientifici che dimostrano che la sublimazione del bioxal produce una effettiva apertura del glomere con adeguata veicolazione dell’ossalico . Si invita da ciò a riflettere sul fatto che se ciò effettivamente fosse , ( che il vapore aprisse il glomere ) una, massimo due applicazioni sarebbero sufficienti a permettere di oltrepassare il 90 % di efficacia varroacida su quella presente . Senza necessità di ripetere il trattamento 5 e più volte .
Il trattamento con ossalico ( con entrambe le metodiche - non ci sono studi che dimostrano che neppure la sublimazione è per l’ape acqua tiepida ) ha una tossicità sull’ape . Non tanto acuta, con immediata morte dell’ape , ma piuttosto cronica con riduzione dell’aspettativa di vita dell’ape . Come se un “ amico “ del lettore lo aspettasse tutte le sere nell’ombra e a tradimento gli rifilasse una randellata nella schiena con tutta la sua forza . Dopo un mese di “cura” la questione comincia a farsi problematica .
Richiedendo uno sforzo di detossificazione con relativo impegno del sistema immunitario , può accadere che le risorse necessarie per la metabolizzazione dell’ossalico siano sottratte al controllo di infezioni virali e di nosema silenti ,concedendo loro la possibilità di moltiplicarsi . Da ciò si ottiene che il tentativo di ripulirsi dalla varroa espone le api ai pericoli costituiti da nosema e soprattutto virus , ereditati alla nascita e in gioventù , ma certo anche veicolati dalla varroa presente alle api che che frequenta d ‘inverno per nutrirsi .
Da ciò è intuibile come i tentativi “ alla disperata “ di ripulirsi dalla varroa senza aver fatto un preventivo lavoro sulla riduzione della presenza virale siano tendenzialmente portati ad essere poco efficaci . Perchè , gioverà ricordarlo , le api muoiono di virosi , non per responsabilità diretta della varroa.
E‘ anche intuibile come sia probabilmente il caso di prestare maggiore attenzione alle condizioni in cui si interviene con apibioxal , cercando di fare in maniera che siano condizioni idonee alla “ seconda “ veicolazione del principio attivo fra le api , anche se magari con relativa presenza di covata ( che come detto è pochissimo infestata ) .
Trattando “ un po‘ meglio “ si potrebbe arrivare a trattare “un po‘ meno “ con grande soddisfazione prima di tutto delle api e poi dell’apicoltore e anche dello scrivente , che per mestiere vende medicinali , per il fatto che vederli utilizzati al meglio è una gran soddisfazione .
Il lavoro Winter in the bee hive di Kozak e Currie spiega la riproduzione invernale e di inizio primavera della varroa. Le api hanno necessità di allevare covata anche durante l’inverno settentrionale ( e lo fanno usando le proteine che tengono stoccate nei loro stessi corpi). Pur necessitando di rimanere in glomere in conseguenza delle temperature esterne, al centro di questo la temperatura sale fino a poco più di 30°C, la regina viene alimentata in maniera consistente e l’allevamento ha inizio .Tuttavia la nutrizione delle larve viene effettuata da api attempate, che si prestano alla meglio al compito,ma non sono identiche alle nutrici originali.Una delle differenze essenziali è l’odore ed è questo che la varroa usa normalmente per farsi guidare alle celle di covata di età idonea alla parassitizzazione.Per questi e altri motivi la riproduzione della varroa nei mesi invernali e primaverili è fortemente problematica:la sua permanenza all’esterno della covata ( in fase foretica) è consistente.Queste considerazioni sono fondamentali per la riduzione numerica della varroa in inverno e primavera. Il Prof. Currie ha studiato la parassitizzazione della covata invernale da parte della varroa.Risulta che a metà inverno, all’inizio dell’allevamento di covata,solo l’1% della varroa riesce ad infestarla.La quantità di covata è veramente poca e il 25% delle celle risulta infestato.In tardo inverno la quantità di covata aumenta, ma solo il 3% della varroa riesce ad infestarla col 14% delle celle infestate.Mano a mano che nascono api e si dedicano all’attività da nutrice con l’odore caratteristico, la varroa trova sempre maggior facilità a parassitizzare la covata avendo a disposizione un numero maggiore di “autobus”.Raggiungerà il massimo di efficenza all’inizio dell’allevamento dei fuchi e da quel momento accopparla sarà più difficile. Le condizioni di trattamento della varroa si mantengono relativamente favorevoli fino all’inizio dell’allevamento di covata da fuco. Da quel momento la varroa sarà molto più tempo dentro la covata che al suo esternoin fase foretica.
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