Due milioni di api sul Po
Una vera e propria invasione. Più di due milioni di api in cinquanta arnie popoleranno il fiume Po per produrre miele di alta qualità. Verranno poste a San Colombano, a Isola Rodi, Isola Mafalda, Isola Boschina, vicino a Ostiglia. È lo scopo dell'iniziativa "I mieli del Po". Abbiamo intervistato l'ideatore del progetto Fausto Delegà.
Come è nata questa iniziativa? «Il progetto dei Mieli del Po è nato tre anni fa da un mio studio sulla storia del miele a Mantova e in particolare nella pianura padana. Virgilio e Plinio scrissero delle api e dei mieli nel Mantovano e parlarono della pratica della apicoltura nomade su barca in epoca romana attuata proprio nelle zone mantovane del fiume Po. Plinio citava Melara e Ostiglia e i racconti narravano di arnie, api e regine, caricate sulle barche e portate nelle lanche lungo il Po a cercare le migliori fioriture. La domanda che ci ponemmo subito io e l'apicoltore trentino Andrea Paternoster fu: perché proprio il Po e non uno dei tanti altri fiumi dell'impero? La risposta ci arrivò subito ed era nel clima e nella conformazione del "terroir Po": una zona caldo-umida, afosa, poco ventosa, proprio ciò che le api amano e dove le produzioni dei mieli potevano essere massicce e di altissima qualità. Questo convinse i romani a portare arnie lungo il Po, proprio a Ostiglia e Melara. Era un terroir di mieli eccezionale».
Quindi una storia antichissima. Ma è possibile riproporre questo antico sistema nonostante le trasformazioni dell'ecosistema del grande fiume? «Si è ancora possibile. Abbiamo deciso di portare le api a bottinare proprio sul grande fiume, in particolare in una delle zone interessate dai rimboschimenti rinaturalizzanti della Legge Cutrera, applicata a Mantova con la determinante attività della Provincia. Perciò nel luglio del 2009 le api, 8 famiglie con 8 giovani regine, sono arrivate all'alba al Parco di San Colombano, Suzzara, e in barca hanno raggiunto l'Isola di San Colombano, predisposta ad ospitarle dalla cessione, avvenuta da parte di un amico, di un barcone pontiere in cemento. Al di sopra di quest'ultimo, con il fattivo contributo del Consorzio di Forestazione MN-CR, sono state poste al lavoro le otto famiglie. È ripartita così dopo millenni la antichissima pratica della apicoltura nomade sul Po, non proprio su barca, per insuperabili difficoltà tecniche che vedremo se si potranno risolvere in futuro, ma su isole, usate come barche naturali in mezzo al fiume. Inoltre le api hanno un intelligenza tale da saper riconoscere i fiori buoni, da quelli invece intaccati dall'inquinamento per produrre il loro miele».
Quali sono i terroir individuati per la produzione del miele nostrano? «Il primo contingente di alveari, verrà quest'anno probabilmente rinforzato con la dislocazione di altre arnie in un numero che verrà deciso insindacabilmente da Paternoster. Credo dalle 30 alle 50 arnie. Due milioni di api in gioco. Verranno poste di nuovo a San Colombano, a Isola Rodi, Isola Mafalda, Isola Boschina vicino a Ostiglia. Inoltre nel Bosco delle Bertone e Foresta Fontana vicino a Mantova. Ricordo che Foresta Fontana e Bertone sono pezzi originali di Foresta planiziale padana dai quali ci aspettiamo grandi sorprese nei mieli. Nel 2008 il Bosco delle Bertone diede un miele di melata straordinario e un miele monoflora di acacia superlativo».
Questo sistema non è troppo dispendioso e diseconomico? «Certo dislocare le api in zone diciamo "selvagge" è un lavoro duro, ma gli uomini di Mieli Thun lavorano da sempre solo con il nomadismo dislocando apiari in tutta Italia. Da nord a sud sono circa duemila alveari sparsi dai 1800 metri in alta montagna trentina, miele di rododendro, alle pianure lombarde, Miele di Tarassaco e in tante altre zone di bottinatura. Poi i mieli di terroir che hanno una storia da raccontare, che li sostiene, possono permettersi di raggiungere un costo di vendita decisamente superiore ai banali mieli italiani di cui non si sa nulla e che sono ottenuti in gran parte da mescolanze di mieli provenienti da zone sconosciute e non sempre ecologicamente verificabili. Ne sono un esempio in questo senso i famosi mieli prodotti sui tetti dell'Opera di Parigi, o sulle rive della Senna, o sui grattacieli a New York. In questi casi i potenziali clienti sono disposti a riconoscere il valore di prodotti unici. Come sempre non si mangia cibo di alta qualità in se, ma si mangia e ci si appropria di esso, usando i sensi. Il gusto che assaggia, l'udito per i racconti di quel cibo e la vista che ne scruta i paesaggi di provenienza. Tutto questo ha un valore grande. Il prezzo viene dopo e spesso volentieri accettato, come il costo di un grande vino, di un grande olio, di un tartufo. Tutto ciò ripaga sforzi e consente guadagni, anche se non certo enormi, ma speriamo sufficienti per mantenere in vita il progetto per i prossimi anni».
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