Giugno.Di questo mese si smelano gli alveari.
Giugno.Di questo mese si smelano gli alveari; i quali da più segni potremo conoscere se sono in tiro per levarne il mèle. Primieramente se son pieni, si ode più sottile il mormorio delle api, imperocché le sedi dei favi quando son vuote, a guisa degli edifizi concavi, ingrandiscono i suoni che ricevono; e però quando si sente dentro un suono alto e cupo, si argomenta che non sono da smelare.

L'istesso è da pensare quando l'api cacciano con grande insistenza dalle loro sedi i fuchi, che sono api più grosse. Gli alveari si smelano nelle ore mattutine, quando le api sono più torpide e non irritate dal caldo.

Con del galbano e della bovina secca si fa del fumo, il quale si suscita gettando tali materie in un vaso sui carboni accesi. Questo vaso è composto in maniera, da poter mandare all'api il fumo come dallo stretto collo d'un imbuto rovesciato. Così l'api si ritirano, e si cava il miele. In questa smelatura, se ne deve lasciare una quarta parte per il sostentamento dell'api; e conviene levar le fiale putride e magagnate.

Il miele si fa riunendo i favi in un pannolino mondissimo e strizzandoli ben bene: ma prima di strizzarli, bisogna levare le parti guaste o che abbiano dei cacchioni, le quali danno cattivo gusto al mèle e lo fanno andare a male. Il miele levato di fresco si deve lasciar qualche giorno in vasi scoperti, schiumandolo alla superficie fino a che non ismette di bollire come fa il mosto. Sarà il più squisito quello che vien via quasi da sè, prima della seconda stringitura.

In questo mese si fa anche la cera; la quale, sbriciolati gli avanzi dei favi, si mette a struggere in un recipiente di rame pieno d'acqua a bollore, e, appena è strutta, si passa in vasi senz'acqua e si riduce in pani.

Verso la fine del mese si gettano dei secondi sciami, l'apiaio stia attento, chè le novelle api(non avendo il cervello fermo com'è il solito della gioventù) se non si tengan d'occhio, se la fanno. Gli sciami stanno nel luogo, ove si posano, un giorno o due; però vanno messi subito nelle nuove arnie. Il pecchiaio diligente le vigilerà fino all'ottava o nona ora , perché dopo non sogliono tanto facilmente fuggire o emigrare; sebbene ve ne son di quelle, che, senza starla a pensare, piglian l'arie e via difilato. I segni di prossima sciamatura son questi. Due o tre giorni avanti fanno un gran chiasso e un ronzio sordo. Appena che il custode se ne avvede ( e gli sarà facile se spesso accosta l'orecchio all'arnie), stia all'erta. Questi medesimi segni soglion darli anche quando son per venire a battaglia. Si rimettono in pace gittando delle manciate di polvere e spruzzandole con dell'acqua mielata; la quale ha una dolce potenza a riportar la concordia nella propria schiatta.

Ma quando gli sciami così rappatumati si sono attaccati a un ramo o in un luogo qualunque, se penzolano a modo di un sol grappolo, è segno o che vi è un solo re, o che son tornati a essere tutt'una pace: se poi lo sciame nell'attacarsi forma due o più grappoli, vuol dire che son in discordia, e vi son tanti re quanti sono i grappoli che tu vedi.

Dove vedi più fitti i mucchi dell'api, ungiti la mano di sugo di melisfilla e di appio, e cerca i re: sono un pò più grossi e più lunghi dell'altre api, hanno le zampe più dritte, non grandi penne, color bello e chiaro, e son lisci senza pelo; se non che talvolta i più grossi hanno nel ventre a guisa di un capello, del quale peraltro non si servono per ferire. Ve ne son altri scuri e irsuti. Questi bisogna ammazzarli e lasciar il più bello: il quale, se piglia l'avvezzo di andare a spasso con gli sciami, imprigionato, tarpandogli l'ale: fermo lui, nessuna delle api si moverà. Ma se non gettassero sciami, gioverà riunire in una sola famiglia la moltitudine di due o tre arnie.

In tal caso vanno spruzzate le api di dolce liquore, e tenute chiuse per tre giorni, dando loro a mangiare del miele, e lasciando soltanto nell'arnie qualche piccolo spiraglio. Occorrendo di dover ripopolare un alveare decimato a cagione della peste, osserva negli altri alveari abbondanti le cere dei favi e l'estremità che contengono le cove; e dove trovi indizio di nascituro re, taglia il favo con tutte l'uova e mettilo nella nuova arnia.

Questi sono i connotati del futuro re: fra i cellari delle cove, ne scorgerai uno più grande e più lungo, sporgente a guisa di mammella. Aspetta però a trasferirli a quel tempo che, sfondati i chiusini, si provano a far capolino per venire alla luce; ché trasferendoli immaturi , morirebbero. Se a un tratto s'alza per aria uno sciame, si spaventi col suono di metalli e di cocci. Allora tornerà all'alveare o si poserà sopra una delle vicine frondi: e tu, con le mani o con una mestola, introducilo in un vaso nuovo cosperso delle consuete erbe e di miele; e quando ce l'avrai messo, la sera portalo fra gli altri vasi nell'alveare.


Dal libro quinto del De agricultura di Palladio Rutilio Tauro Emiliano -traduzione di Lorenzo Ciulli -Le api dai georgici latini-Prato 1903 TIP. Successori Vestri