"Miele" amaro dalla Turchia
BERLINO - Terzo capitolo della trilogia dell'autore turco Semih Kaplanoglu, Bal (Miele), in concorso a Berlino, arriva dopo Yumurta (Uovo) e Sut (Latte) e prosegue l'approfondimento del carattere di uno stesso personaggio. E' raccontato a ritroso Yusuf, che ora vediamo bambino, crescere nei boschi a Est del Mar Nero, ai margini di una foresta più malefica che incantata. Il padre Yakup è un apicoltore e segue amorevolmente i progressi del piccolo, che è ai primi giorni della scuola elementare e fatica sia a leggere e scrivere che a socializzare con gli altri bambini. La vicenda è ambientata nel 2009 ma il tempo appare indefinito in un ambiente rurale che vive di pochissimo e dove a malapena arriva la corrente elettrica.
Gli alveari sono in cima agli alberi secolari, a 30-40 metri di altezza da terra, ed è lì che il padre di Yusuf si issa con una lunga corda all'inizio del film: ha un incidente di cui non conosciamo l'esito che alla fine, ma tutta la storia è disseminata di segni e un senso di presagio che mette alla prova il carattere introverso e ombroso del bambino, del resto piuttosto distante dalla madre. "La natura della Turchia settentrionale è ancora allo stato originario e mostra molto bene la fragilità dell'essere umano", dice Kaplanoglu, che ha scelto di evitare ogni accompagnamento musicale, se non in una scena di danza campestre. Solo rumori della natura e nessuna illuminazione artificiale creano un'atmosfera sospesa e meditativa. "Per me il cinema è una forma spirituale di arte e sono convinto che minimalismo e riduzione aiutano a sviluppare un linguaggio spirituale. Nei miei film uso sempre un pittore come riferimento per l'ambientazione, e stavolta mi sono ispirato all'olandese Jan Vermeer e al suo eccezionale uso della luce e dello spazio".
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