LE ANALISI DEL MIELE
testo pubblicato su “L’ape nostra amica” 1995 (5)
L'analisi di un alimento ha come finalità quella di raccogliere informazioni sul prodotto; generalmente questa raccolta di informazioni non è fine a se stessa o fatta per motivi di studio, ma ha una finalità applicativa; nel caso di prodotti alimentari destinati alla vendita le analisi servono alla tutela sanitaria e commerciale del consumatore. Nel caso della tutela sanitaria le analisi devono poter rispondere alla domanda: "Questo prodotto può essere dannoso al consumatore?". Quando invece ci si occupa della tutela commerciale del consumatore le domande che ci si pongono sono: "Questo prodotto corrisponde alla denominazione di vendita?" e "Qual è la sua qualità?". La maniera di risolvere questi quesiti può variare se a porsi la domanda è il produttore stesso, un intermediario nella filiera produttiva, gli organi di tutela del consumatore o il consumatore stesso. Nel caso del miele disponiamo di tre grandi categorie di sistemi analitici: le analisi fisico-chimiche, quelle organolettiche e quelle melissopalinologiche. Le analisi microbiologiche, che rivestono un'importanza fondamentale nella valutazione di quasi tutti gli alimenti rapidamente deperibili o che impiegano ingredienti che possono veicolare microrganismi patogeni, non vengono quasi mai impiegate per il miele, in quanto per questo prodotto praticamente non sussistono rischi. L'unica alterazione microbiologica che il miele può subire, la fermentazione, viene più spesso valutata con l'analisi organolettica che con quella microbiologica.
Effettuare un'analisi fisico-chimica completa del miele non vuol dire, come un profano potrebbe credere, mettere in evidenza e dosare tutte le sostanze, di origine endogena e esogena, contenute nel miele. Un tale tipo di analisi è possibile, a condizione di disporre di un laboratorio molto attrezzato, solo a costi impensabili in un contesto applicativo normale. Di norma fare un'analisi fisico-chimica completa del miele significa mettere in evidenza e dosare certe sostanze, o gruppi di sostanze, certi indici di composizione o certi indici fisici, che hanno un significato ben preciso in relazione alle domande che ci si pone.
Così, per esempio, delle sostanze minerali presenti nel miele, non si misurano abitualmente i singoli sali (potassio, cloro, sodio, calcio, magnesio, ferro, rame ecc.), ma se ne stima la quantità totale, attraverso il dosaggio del residuo dopo incenerimento (ceneri) o la misura della conducibilità elettrica: questo dato è in relazione con la genuinità del miele (in quanto un prodotto fraudolento ottenuto con aggiunta di melassa o di zucchero invertito chimicamente avrebbe dei valori anomali) e con l'origine botanica del prodotto (per esempio i mieli di robinia e di rododendro, e in genere i mieli chiari, hanno valori bassi di ceneri e i mieli di melata, e quelli scuri in genere, hanno valori elevati). Si ricercheranno invece alcuni elementi nocivi, derivanti dall'inquinamento ambientale (piombo), se esiste il sospetto di una simile contaminazione. E' forse utile ricordare che il rilievo di ogni sostanza o indice richiede un metodo analitico specifico: a ogni domanda relativa alle caratteristiche fisico-chimiche si risponde con un'analisi particolare. In pratica quindi occorre quindi aver ben chiare le domande che cercano risposta prima di sottoporre un prodotto ad analisi fisico-chimica.
La legge italiana sul miele contiene, all'articolo 2, un elenco di caratteristiche fisico-chimiche che il miele destinato alla commercializzazione deve rispettare. La verifica della rispondenza dei parametri di composizione a quanto previsto da questo articolo permette agli organi di tutela del consumatore di verificare che il prodotto che viene venduto con la denominazione "miele" corrisponde a quello definito nell'articolo 1 ed è stato lavorato e conservato convenientemente. I limiti contenuti in questo articolo di legge corrispondono a quelli contenute nella direttiva comunitaria dalla quale la legge nazionale discende. I parametri sono stati scelti tenendo conto del loro significato rispetto alle possibili frodi o inconvenienti che possono capitare al miele nel corso della produzione, lavorazione o conservazione. La scelta è stata condizionata anche dall'economicità del metodo analitico chiamato in causa e dalla possibilità che il controllo possa essere effettuato in laboratori attrezzati ma non eccessivamente sofisticati o specializzati, in altre parole dalla fattibilità generale del controllo. I limiti sono stati scelti tenendo conto dei risultati ottenuti su migliaia di campioni, da decine di analisti e ricercatori di diverse nazionalità. Se un prodotto commercializzato con la denominazione miele non risponde a uno o più parametri stabiliti, molto probabilmente non è miele o, se lo è, si è fortemente alterato durante la lavorazione o la conservazione. In maniera complementare, la possibilità che un miele naturale, ben conservato, non rientri nei parametri previsti viene considerata estremamente rara. Dalla redazione di queste norme è però passato molto tempo: in questi due decenni le tecniche si sono evolute e metodi analitici che non erano allora proponibili lo sono oggi. Per esempio, l'analisi degli zuccheri, così come prevista dalla legge, è macchinosa e non fornisce, in definitiva, alcuna informazione utile nel contesto attuale: potrebbe oggi essere sostituita da determinazioni strumentali più dettagliate. Da allora a oggi inoltre si è sviluppata una apicoltura moderna anche in molti paesi che all'epoca non producevano ancora significative quantità di miele ed è aumentata la produzione di mieli uniflorali, dotati di peculiarità compositive: un maggior approfondimento delle conoscenze ha messo in evidenza che i limiti a suo tempo decisi "vanno stretti" a molti mieli naturali. A livello mondiale si è già provveduto a inserire nella norma FAO/OMS (1989) deroghe ai limiti di composizione che vanno incontro soprattutto ai mieli australiani e neozelandesi, dei quali non si era tenuto conto in precedenza. A livello comunitario la nuova direttiva, in corso di revisione, terrà presumibilmente conto delle indicazioni che gli specialisti europei hanno messo in evidenza in questi anni: per esempio in Italia si trovano spesso mieli di castagno che escono dai limiti previsti per il contenuto in ceneri; in Francia i mieli di alcune varietà di lavanda ibrida presentano un eccesso di saccarosio; in Spagna il problema più frequente è rappresentato dall'elevata acidità dei mieli a base di Erica. I problemi esposti fanno sì che nel controllo routinario del miele i parametri di legge non vengano sempre utilizzati, in quanto superati da determinazioni più semplici, o sostituiti da parametri che forniscono informazioni più precise. Il significato dei parametri previsti dall'articolo 2 della legge 753 viene riassunto nella tabella 1; delle altre possibili determinazioni fisico-chimiche verrà detto nei successivi paragrafi, in relazione alla loro utilità.
Tabella 1: parametri di composizione previsti dalla legge 753/82 sul miele e loro significato
Parametro |
Metodo d'analisi |
Limiti |
Interesse dell'analisi |
Tenore
apparente di zuccheri riduttori |
Titolazione
del liquido di Fehling con una soluzione diluita di miele |
Non
meno del 65 % Miele
di melata, solo o in miscela con il miele di nettare: non meno del 60 % |
Individuazione
dell'aggiunta di saccarosio o di altri zuccheri non riduttori |
Tenore
d'acqua |
Rifrattometria |
Non
più del 21 % Miele
di brughiera (Calluna), miele di
trifoglio (Trifolium sp.) e di
corbezzolo (Arbutus): non più del 23 % |
Prevenzione
delle fermentazione |
Tenore
apparente di saccarosio |
Titolazione
del liquido di Fehling con una soluzione diluita di miele prima e dopo
inversione chimica della stessa |
Non
più del 5 % Miele
di melata, solo o in miscela con miele di nettare, miele di acacia, di
lavanda e di Banksia menziesii: non
più del 10 % |
Individuazione
dell'aggiunta di saccarosio o di altri zuccheri non riduttori |
Tenore
in sostanze insolubili in acqua |
Determinazione
gravimetrica del residuo di filtrazione |
Non
più dello 0,1 % Miele
torchiato: non più dello 0,5 % |
Individuazione
dei mieli ricchi di impurità; individuazione di frodi grossolane (aggiunta di
sabbia, gesso); mieli eccessivamente poveri di sostanze insolubili possono
essere stati filtrati in maniera spinta o avere un'origine fraudolenta |
Tenore
in sostanze minerali (ceneri) |
Determinazione
gravimetrica del residuo dopo incenerimento delle sostanze organiche |
Non
più dello 0,6 % Miele
di melata, solo o in miscela con miele di nettare: non più dell'1 % |
Individuazione
di mieli contaminati con particelle minerali (vedi anche sopra); l'aggiunta
di melassa o con zucchero invertito chimicamente e neutralizzato aumenta il
contenuto di ceneri; l'aggiunta di sciroppo di zucchero (anche dato in
nutrizione alle api) dà un prodotto con ceneri anormalmente basse; parametro
in relazione con l'origine botanica |
Acidità |
Titolazione
dell'acidità libera con una soluzione di idrossido di sodio |
Non
più di 40 meq/kg |
L'acidità
aumenta con l'invecchiamento, la fermentazione e qualora il miele venga
estratto da favi fortemente propolizzati; miele sofisticato con zucchero
invertito chimicamente ha un'acidità molto elevata; la sofisticazione con
sciroppo di zucchero determina una bassa acidità; parametro in relazione con
l'origine botanica |
Indice
diastasico |
Determinazione
spettrofotometrica della quantità di amido residua di una soluzione posta ad
incubare in condizioni standardizzate con la soluzione di miele da misurare |
Non
meno di 8 Miele
con basso tenore naturale di enzimi (ad esempio miele di agrumi) e tenore di
HMF non superiore a 15 mg/kg: non
meno di 3 |
Individuazione
delle sofisticazioni con qualsiasi sostanza che non apporti diastasi;
riscaldamento eccessivo; conservazione prolungata a temperatura elevata;
parametro in relazione con l'origine botanica |
Tenore
di idrossimetilfurfurale (HMF) |
Determinazione
spettrofotometrica dell'intensità del colore rosso che si forma in una
soluzione contenente miele, p-toluidina e acido barbiturico |
Non
più di 40 mg/kg (vedi
anche sopra) |
Individuazione
dell'aggiunta di zucchero invertito; riscaldamento eccessivo; conservazione
prolungata a temperatura elevata |
La base dell'analisi pollinica (o melissopalinologica o microscopica) sta nel fatto che i granuli pollinici delle diverse specie botaniche sono riconoscibili all'osservazione microscopica, così come è possibile risalire a una pianta dal suo seme. Il miele contiene sempre granuli pollinici, in quanto questi possono "contaminare" il nettare nel momento in cui l'ape lo raccoglie. E' quindi possibile, dall'osservazione del polline contenuto nel miele, opportunamente recuperato e montato, risalire all'origine botanica del miele. Il metodo però non è così semplice come si potrebbe credere. La prima difficoltà risiede nell'identificazione dei granuli pollinici, che richiede una notevole esperienza in quanto occorre memorizzare le forme polliniche che devono poi essere riconosciute durante l'analisi vera e propria e i particolari che permettono di distinguere un polline dall'altro possono essere visualizzati solo da un occhio esercitato: di conseguenza è una analisi possibile solo in laboratori specializzati in cui operi personale che si dedica principalmente a questo tipo di determinazione. La seconda difficoltà è dovuta al fatto che la quantità di polline che finisce nel nettare al momento della raccolta di questo (inquinamento primario), è estremamente variabile a seconda della pianta: questo aspetto è stato studiato attraverso mieli uniflorali sperimentali ottenuti con l'impiego di piccole colonie di api imprigionate in serra assieme alla specie da studiare (foto 1). In questo modo si è visto che l'inquinamento primario può variare da un centinaio di granuli pollinici per grammo di miele (per esempio per la robinia) fino a diversi milioni (nel caso estremo del non-ti-scordar-di-me). La conseguenza di queste osservazioni consiste nel fatto che non è possibile, in un miele misto, come sono praticamente tutti i mieli naturali, usare semplicemente un conteggio percentuale delle forme polliniche ritrovate per risalire all'origine botanica. Immaginando per esempio un miele che sia prodotto per metà sulla robinia e per metà sul non-ti-scordar-di-me, all'analisi pollinica il sedimento risulterebbe costituito da alcune decine di granuli della prima e di alcuni milioni del secondo: usando un conteggio percentuale la robinia resterebbe completamente mascherata dal non-ti-scordar-di-me. Non è neppure possibile usare dei coefficienti di correzione (o le quantità assolute di polline), in quanto conosciamo la consistenza esatta dell'inquinamento primario solo per una cinquantina di piante mellifere europee, contro le centinaia (o migliaia) che ci interesserebbero; inoltre tali valori non sono costanti, ma variano a seconda delle condizioni: per esempio, anche dalla semplice distanza tra la sorgente nettarifera e l'alveare ha un'influenza sull'entità dell'inquinamento primario. L'analista quindi usa interpretare il risultato del conteggio alla luce della "rappresentatività" dei pollini che sono stati trovati (cioè la tendenza dei vari pollini a essere iper-, normalmente o iporrapresentati rispetto al nettare), del risultato dell'analisi pollinica quantitativa (la quantità totale di polline) e delle altre analisi effettuate (organolettica e fisico-chimiche). Il terzo problema risiede nel ruolo stesso del polline come indicatore di origine botanica e può, in alcuni casi, rendere del tutto impossibile risalire all'origine botanica di un miele attraverso lo spettro pollinico. I pollini che si rinvengono nel miele non hanno per origine solo i meccanismi di inquinamento primario, l'unico che possa fornire informazioni sull'origine botanica, ma possono anche finire nel miele in fasi successive. Il polline raccolto dalle api come tale può inquinare il miele in formazione durante i processi di maturazione dello stesso (inquinamento secondario) o durante l'estrazione (inquinamento terziario). Infatti nel miele si trovano sempre granuli pollinici di piante che non forniscono nettare (papavero, quercia, cisto, olivo, piantaggine, romice, graminacee ecc.), a volte anche in quantità consistente. I pollini di piante prive di nettare non disturbano la determinazione dell'origine botanica del miele, in quanto vengono conteggiati a parte, ma come sapere se un granulo pollinico di una pianta che è bottinata sia per il polline che per il nettare indica un contributo in nettare o è d'origine secondaria o terziaria? Questa è una ulteriore fonte di imprecisione nella determinazione dell'origine botanica: quando poi le tecniche di apicoltura portano alla smelatura di favi che hanno contenuto (o che contengono) polline (favi del nido o da alveari con favi di un'unica dimensione, tipo Langstroth o divisibile, o a sviluppo orizzontale, tipo la Layens spagnola) lo spettro pollinico primario risulta completamente mascherato dal polline di origine terziaria e non è più possibile risalire all'origine botanica attraverso l'analisi pollinica.
L'analisi pollinica viene usata anche per la determinazione dell'origine geografica di un miele; questa applicazione in effetti è quella originaria, quella per la quale la tecnica era stata messa a punto: si basa sul fatto che ogni zona presenta una vegetazione caratteristica, che si riflette sullo spettro pollinico del miele. In questo caso l'origine del polline, primaria, secondaria o terziaria, non ha importanza, a meno che agli alveari nomadi non sia stato fatta percorrere una distanza superiore al livello di precisione richiesto alla determinazione. Nei mieli con polline di origine terziaria la determinazione dell'origine geografica risulta addirittura facilitata, data la grande ricchezza di polline che aumenta la probabilità di rinvenire forme polliniche particolari tipiche di una determinata origine. Raramente però la determinazione dell'origine geografica presuppone il ritrovamento di forme polliniche particolari; molto più spesso si basa sulla presenza in associazione di diverse forme (e la contemporanea assenza di altre), nonché sulla loro frequenza. Si parla quindi molto più spesso di spettri tipici, che di forme polliniche tipiche. Anche la determinazione dell'origine geografica attraverso l'analisi pollinica non è una scienza esatta: l'analista dà un responso che ha tante più probabilità di corrispondere alla realtà quanto meno dettagliato è il livello della determinazione, che può variare dall'individuazione delle grandi aree geografiche e vegetazionali alle singole vallate di una stessa regione, e quanto maggiore è la sua competenza in materia. Infatti l'analista ha come supporto per questo lavoro alcune pubblicazioni scientifiche, ma il grosso delle valutazioni le deve fare sulla base della propria personale esperienza, confrontando lo spettro del miele in esame con quello di tutti i prodotti simili precedentemente analizzati. Il compito viene reso ancora più difficile dalle variazioni della vegetazione spontanea e, molto più spesso, da quelle colturali e delle condizioni produttive e di mercato che portano a una situazione tutt'altro che statica e alla necessità, per l'analista, di non considerare mai conclusa la fase di apprendimento.
L'analisi organolettica (o sensoriale) consiste nel valutare un prodotto attraverso i sensi: l'aspetto, l'odore, il sapore e le caratteristiche tattili di un miele possono fornire informazioni utili all'individuazione delle frodi, alla determinazione dell'origine, allo stato di conservazione, alla qualità in generale. Anche alcune sostanze contaminanti possono essere individuate attraverso l'analisi sensoriale: per esempio il ferro ceduto da contenitori non idonei, il p-diclorobenzolo (usato inadeguatamente per la protezione dei favi dalla tarma della cera), l'acido fenico, l'essenza di mirbana e la benzaldeide (usati come repellenti), il timolo (usato nella lotta alla varroa). Di regola l'analisi sensoriale viene usata a supporto delle altre analisi, soprattutto a causa della natura di questo tipo del tutto particolare di valutazione: infatti se viene effettuata da un solo operatore, in condizioni non perfettamente standardizzate, pur fornendo utili indicazioni, non permette di avere risultati inconfutabili. Soprattutto il melissopalinologo che debba dare un giudizio sull'origine botanica del miele usa sempre il supporto dell'analisi organolettica per indirizzare correttamente la propria interpretazione dello spettro pollinico. Per alcuni aspetti qualitativi è inoltre l'unico sistema possibile per raccogliere informazioni: per esempio sulla presenza di eventuali odori o sapori estranei o sulla gradevolezza o meno del prodotto. Anche l'analisi organolettica richiede una notevole esperienza ma, a differenza degli altri tipi di analisi, questa non è strettamente legata al laboratorio di analisi, ma può essere acquisita anche da figure professionali diverse (apicoltori, responsabili acquisti delle catene di distribuzione) e ha quindi una grande importanza pratica. Per questo tipo di analisi "di campo" sono necessari solo un minimo di sensibilità olfatto-gustativa e un metodo di lavoro che può essere appreso nei corsi appositamente organizzati dall'Albo nazionale degli esperti in analisi sensoriale del miele e dalla Cooperativa Apiriviera di Finale Ligure (SV).
Nel caso del miele l'unico pericolo per la salute del consumatore è rappresentato dalle possibili contaminazioni, accidentali o connesse con attività a rischio nel corso della produzione, con sostanze potenzialmente tossiche. Esistono anche mieli naturalmente tossici, ma si tratta di prodotti rari che non vengono né prodotti né commercializzati in Europa. Il controllo della salubrità del prodotto è mirato ad individuare la presenza di contaminanti ambientali (sostanze radioattive, piombo) o di residui di sostanze antiparassitarie utilizzate in agricoltura o, più comunemente, dei trattamenti effettuati all'interno dell'alveare per la lotta alle malattie e parassitosi delle api, in particolare della varroasi. A proposito dei residui di sostanze tossiche la legge n. 753/82 riporta unicamente che "...in nessun caso il miele può contenere sostanze di qualsiasi natura in quantità tali da presentare un pericolo per la salute umana...". Per quello che riguarda i residui di pesticidi e di sostanze acaricide usate per la lotta alla varroa gli organi di tutela del consumatore, applicano, generalmente, in fase di controllo, il limite massimo ammesso di 0,01 ppm, mutuandolo dalla legislazione relativa ai residui di fitofarmaci negli altri prodotti alimentari in cui questo è il limite relativo alle sostanze che non vengono utilizzate direttamente sul prodotto agricolo ma che derivano dall'ambiente.
Le determinazioni previste dalla legge 753 dovrebbero, già da sole, permettere di individuare i prodotti fraudolenti, ottenuti per aggiunta di sostanze zuccherine o anche ottenuti dall'alimentazione forzata delle api. In realtà queste analisi permettono di evidenziare solo frodi grossolane che, proprio grazie all'esistenza della legge e dei limiti di composizione che contiene, non vengono più fatte. Per passare il vaglio delle analisi di legge il frodatore deve escogitare metodi più sofisticati, usare materie prime più simili al miele e maggiormente selezionate e conoscere profondamente il prodotto che vuole imitare: tutto questo porta a un costo tale del prodotto fraudolento che l'inganno non appare sicuramente rimunerativo, considerati i rischi e il costo del miele naturale. Le materie prime più simili al miele prodotte dall'industria sono gli sciroppi zuccherini ottenuti per idrolisi (chimica ed enzimatica) e isomerizzazione enzimatica a partire da diversi amidi (di riso, di mais ecc.). Queste sostanze trovano largo impiego nell'industria alimentare e delle bevande. Hanno composizione diversa a seconda della tecniche utilizzate per la produzione: varia il rapporto fruttosio/glucosio e varia il residuo di oligo- e polisaccaridi. L'identificazione di queste sostanze in miscela con miele richiede un'analisi approfondita della composizione zuccherina: nei laboratori moderni sono possibili analisi strumentali (gascromatografia e HPLC) che permettono di dosare tutti gli zuccheri presenti nel miele. Per alcune di queste frodi, quelle fatte con gli sciroppi più economici, che contengono più glucosio e più polisaccaridi, l'identificazione della frode può essere fatta con questo tipo di analisi, o anche con sistemi ancora più semplici che permettano di evidenziare la componente oligo- e polisaccaridica del prodotto in questione (cromatografia su strato sottile e precipitazione alcolica delle destrine). Quando sono impiegati sciroppi con composizione a più alto contenuto in fruttosio e quantità di oligosaccaridi simile a quella del miele, l'individuazione della frode può essere problematica. Esiste un mezzo analitico che può dire con certezza se gli zuccheri hanno per origine il mais o le piante che normalmente producono miele: nel mais infatti (come anche in altre piante adattate ai climi aridi) il sistema di trasformazione dell'anidride carbonica dell'aria in sostanze organiche differisce da quello della maggior parte delle altre piante. Il ciclo di fissazione del carbonio del mais viene detto C4, quello delle altre piante C3. Un effetto di questo diverso ciclo è che il rapporto tra gli isotopi non radioattivi del carbonio è diverso nelle molecole organiche prodottesi con ciclo C4 rispetto a quelle originatesi in piante a C3: negli zuccheri sintetizzati con il ciclo C4 c'è meno carbonio pesante (13C). Per determinare questa caratteristica i prodotti sospetti devono essere analizzati con uno spettrometro di massa ad alta risoluzione e questo metodo non è alla portata di tutti i laboratori. Nella maggior parte dei casi però non è necessario ricorrere a un mezzo così sofisticato: sottoponendo un miele ad una completa analisi fisico-chimica, organolettica e microscopica deve necessariamente uscire un quadro coerente; in altre parole, a un certo spettro pollinico deve corrispondere una certa composizione e un aspetto, odore e sapore conformi. Anche se non basta un quadro insolito per affermare che si è di fronte a un prodotto fraudolento, in genere è abbastanza per insospettire e approfondire le indagini. Tra le analisi relativamente semplici che possono essere utilizzate per l'indagine in questo senso viene a volte usato il dosaggio della prolina. Questa è l'aminoacido libero che è presente in maggiore quantità nel miele e deriva principalmente dalle api: una sua carenza può indicare una diluizione con sostanze estranee.
Quando un prodotto viene venduto come "miele" il controllo della rispondenza alla denominazione si limita all'individuazione delle sostanze estranee. Quando la denominazione è completata da una indicazione botanica o geografica il controllo riguarda anche questi due aspetti. Il controllo dell'origine geografica è attualmente totalmente basato sull'analisi pollinica (vedi sopra). Il controllo dell'origine botanica invece è un po' più complesso. Dando per assodato che i mieli uniflorali prodotti in condizioni naturali conterranno sempre una piccola proporzione di altri nettari, la legge enuncia che la denominazione botanica può essere utilizzata per quel miele che "...proviene soprattutto da tale origine e ne possiede le caratteristiche organolettiche, fisico-chimiche e microscopiche...". Ci si può chiedere a quale percentuale corrisponde questo "soprattutto": è il 51 o il 99 %? In realtà la domanda non può essere posta in questi termini. In primo luogo non disponiamo, oggi, di un sistema analitico che ci permetta di misurare in che percentuale un miele derivi da una determinata specie: l'analisi pollinica ci dà solo un'indicazione, ma non ci fornirà mai un risultato preciso in termini di origine percentuale da questa e da quell'altra specie. In secondo luogo, anche ammettendo di trovare un sistema di misura preciso dell'origine del miele, non avremmo risolto il problema. Immaginiamo di disporre, in un prossimo futuro, di sistemi di analisi sofisticati che ci permettano di dosare certi marcatori del nettare che si ritrovano poi nel miele in quantità proporzionale alla quota di nettare originario. In questo caso potremmo selezionare mieli con lo stesso livello di purezza, ma ci troveremmo probabilmente di fronte a prodotti anche molto diversi tra di loro, a seconda della natura dei nettari di accompagnamento. Un miele delicato come la robinia "macchiata" con un 10 % di tarassaco, di castagno o di melata è un prodotto che il consumatore non riconosce più come uniflorale: se invece ad accompagnarla è un 20 % di sulla, la minore purezza è del tutto tollerabile, in quanto non percepibile. Il problema quindi, se vogliamo guardarlo dalla parte del consumatore, e nell'unica maniera in cui oggi possiamo affrontarlo, non sta nel definire una percentuale minima di origine, quanto nel precisare dei limiti di composizione e di caratteristiche che facciano sì che quando il consumatore compra un vasetto di miele di agrumi, per esempio, trovi sì un miele prodotto principalmente sulle fioriture di agrumi, ma soprattutto un miele costante da una volta all'altra, con un certo colore, un certo aspetto fisico, un certo odore e un certo sapore. La determinazione dell'unifloralità passa quindi attraverso la definizione, prima, e il controllo, poi, delle caratteristiche organolettiche, fisico-chimiche e microscopiche dei mieli a prevalenza botanica. In Italia, grazie al lavoro dell'Istituto nazionale di apicoltura di Bologna e della Sezione operativa di apicoltura di Roma dell'Istituto sperimentale per la zoologia agraria, disponiamo oggi della carta di identità di 14 mieli uniflorali (12 di nettare e 2 melate). Dei parametri fisico-chimici non tutti quelli che possono essere controllati hanno uguale valore diagnostico: la tabella 2 riporta le analisi fisico-chimiche più significative per la diagnosi di unifloralità dei principali mieli italiani. Tra le analisi riportate ne troviamo che non sono state citate prima: il colore, viene generalmente misurato con un comparatore ottico, uno strumento in cui il colore di uno spessore standard di miele, reso liquido, viene confrontato a vista con degli standard forniti con il dispositivo: si tratta quindi ancora di una misura sensoriale, ma resa più obiettiva dal metodo di valutazione. Oltre alla misura dell'acidità libera, parametro di legge, nel corso della stessa determinazione possono essere registrati altri valori, l'acidità totale, quella legata (lattoni) e il pH della soluzione: tutti e tre possono fornire ulteriori informazioni sull'origine del prodotto e sulla sua conservabilità. La determinazione delle ceneri può essere validamente sostituita da quella della conducibilità elettrica della soluzione di miele, in quanto sono principalmente le sostanze minerali, che costituiscono il residuo di incenerimento, che sono responsabili del passaggio di corrente in una soluzione di miele: la misura della conducibilità ha la stessa utilità quindi di quella delle ceneri, ma è molto più rapida. E' inoltre possibile risalire alla quantità di ceneri, dalla conducibilità elettrica, con un semplice calcolo. La determinazione dei componenti principali del miele, gli zuccheri, è importante solo per quei mieli che hanno una composizione che si discosta sensibilmente dalla media (mieli ricchi in fruttosio: castagno, robinia e timo; ricchi in glucosio: girasole e tarassaco; ricchi in oligosaccaridi: melate). Con il polarimetro è invece possibile misurare il potere rotatorio specifico: questa è una proprietà delle soluzioni zuccherine (e di altre sostanze otticamente attive) che consiste nel ruotare il piano di polarizzazione di un raggio di luce polarizzata che attraversi la soluzione stessa; nel miele in soluzione il grado di rotazione dipende dalla composizione zuccherina e la sua misura rappresenta un sistema economico e rapido per isolare i mieli di melata da quelli di nettare che abbiano colore e ceneri simili (castagno).
Tabella 2: parametri fisico-chimici più utili per determinare l'unifloralità di un miele
Miele |
Colore |
Diastasi |
Acidità e pH |
Ceneri o conducibilità elettrica |
Zuccheri (gascromatografia o HPLC) |
Polarimetria |
Agrumi |
+ |
+ |
+ |
+ |
|
|
Castagno |
+ |
|
+ |
+ |
+ |
|
Corbezzolo |
|
+ |
+ |
+ |
|
|
Erica |
+ |
+ |
+ |
+ |
|
|
Eucalipto |
|
|
|
+ |
|
|
Girasole |
|
|
|
+ |
+ |
|
Robinia |
+ |
+ |
+ |
+ |
+ |
|
Rododendro |
+ |
|
+ |
+ |
|
+ |
Sulla |
+ |
|
+ |
+ |
|
|
Tarassaco |
|
+ |
+ |
+ |
+ |
|
Tiglio |
|
|
|
+ |
|
|
Timo |
|
+ |
+ |
+ |
+ |
+ |
Melata di abete |
+ |
|
+ |
+ |
+ |
+ |
Melata di Metcalfa |
+ |
+ |
+ |
+ |
+ |
+ |
Qualità in termini merceologici viene definita come soddisfazione del consumatore: ovviamente cambia a seconda del consumatore, ma ci sono delle caratteristiche che vengono unanimemente riconosciute come requisiti indispensabili per la commercializzazione del prodotto e sono alla base delle normative internazionali e della nostra legge nazionale. Questa, in sintesi, definisce il prodotto miele e stabilisce che, per essere destinato al consumo umano diretto, si presenti privo di sostanze estranee pericolose, impurità, odori o sapori estranei, non sia fermentato, non presenti una composizione modificata artificialmente e non si sia eccessivamente modificato nel corso della conservazione. Anche la verifica della rispondenza a una denominazione particolare (botanica o geografica) fa parte di un controllo di qualità minimale. Nella maggior parte dei casi però l'accresciuto livello di vita ha determinato maggiori esigenze in fatto di qualità: la definizione di una qualità superiore si traduce in una minore tolleranza per quello che riguarda tre dei parametri già previsti dalla legislazione (pulizia, umidità e livello di invecchiamento) e una maggiore attenzione per le caratteristiche organolettiche. I limiti adottati possono variare a seconda del tipo applicazione pratica: nel caso dell'umidità il limite qualitativo è determinato dall'impossibilità del miele di conservarsi a lungo se la sua umidità è superiore a 18 %. Nel caso dei parametri di invecchiamento non esiste una soglia così netta: il miele viene considerato tanto "peggiore", quanto più invecchiato e quanto più elevato è quindi il suo contenuto in HMF: 0 è quindi "meglio" di 10, 10 di 20, 20 di 40. Darsi dei limiti più restrittivi rispetto al limite di legge può essere utile per garantire al consumatore un prodotto più fresco, ma ancora non si conosce quale sia il livello di freschezza che il consumatore attento possa distinguere e preferire. Inoltre l'adozione di limiti molto restrittivi può richiedere un sostanziale cambiamento del modo di conservazione e del tempo di commercializzazione attualmente in uso.
Tabella
3: Parametri qualitativi e sistemi di valutazione: + indica il sistema di
analisi più adatto per identificare il parametro qualitativo; ± indica un
sistema di analisi che fornisce informazioni utili a definire il parametro ma
che non dà indicazioni conclusive.
|
Analisi fisico-chimiche |
Analisi microscopica |
Analisi organolettica |
QUALITA' MINIMA LEGALE |
|||
Assenza
di frodi |
+ |
± |
± |
Assenza
di contaminanti e di sostanze pericolose |
+ |
|
± |
Assenza
di impurità |
± |
± |
+ |
Assenza
di fermentazione |
± |
± |
+ |
Freschezza
(HMF < 40 mg/kg e diastasi > 8) |
+ |
|
± |
Assenza
odori e/o sapori estranei |
± |
|
+ |
Che
corrisponda al dichiarato rispetto all'origine botanica |
+ |
+ |
+ |
Che
corrisponda al dichiarato rispetto all'origine geografica |
± |
+ |
± |
QUALITA' COMMERCIALE |
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Conservabilità
(umidità < 18 %) |
+ |
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± |
Freschezza
(HMF < 10 - 25 mg/kg) |
+ |
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Che
soddisfi le aspettative del consumatore per presentazione, odore e sapore |
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± |
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Dopo aver visto quali sono le possibilità di controllo del prodotto attraverso le analisi, vediamo quali possono esserne le applicazioni pratiche. L'apicoltore spesso si spaventa di fronte a una lista di specifiche tecniche come quelle elencate nei paragrafi precedenti, e si chiede se deve diventare anche chimico, per poter vendere tranquillamente il proprio prodotto. Sicuramente no: un miele naturale, che sia stato prodotto in alveari posti in un ambiente non eccessivamente contaminato, curati secondo le normali pratiche produttive, estratto in condizioni igieniche minimali, che non abbia subito riscaldamenti, o che sia stato riscaldato in modo molto moderato, e che sia stato conservato per non più di un anno - un anno e mezzo non necessita di alcun controllo analitico per essere sicuri che rientri nei limiti di legge. Il produttore che ne conosce la storia, può star tranquillo.
L'unica necessità di verifica riguarda la misura dell'umidità, in quanto il rischio di fermentazione è sempre in agguato e solo i prodotti con umidità inferiore al 17 % ne sono completamente al sicuro. Una misura precisa dell'umidità è necessaria per i mieli a rischio: mieli primaverili e autunnali, di zone umide, o per quelli che visivamente si presentano sospettosamente fluidi. Grazie ai rifrattometri da campo, costruiti appositamente per misurare l'umidità del miele, questa analisi è fattibile anche direttamente dagli apicoltori: se le dimensioni dell'attività sono ridotte e la necessità di misura riguarda una - poche partite all'anno è sempre possibile rivolgersi alle associazioni locali che, quasi sempre, mettono uno di questi strumenti a disposizione dei soci. Perché la lettura dia un risultato preciso occorre ricordare che deve essere effettuata esclusivamente con miele completamente liquido: se il prodotto si presenta già cristallizzato occorre riscioglierlo in un piccolo recipiente ben chiuso a bagnomaria (o nel forno a micro-onde). Inoltre l'indice di rifrazione del miele varia con la temperatura e gli strumenti sono in genere tarati per essere usati a 20° C: se la lettura viene fatta a una temperatura diversa occorre effettuare una correzione che è di 0,1 % per ogni grado di differenza dalla temperatura di taratura. La correzione è da sottrarre se la temperatura è superiore a 20° C e, viceversa, da aggiungere in caso di temperatura inferiore. Per esempio, se ci sono 30° C (e il rifrattometro è quindi a questa temperatura) e si legge 19,0 %, occorre sottrarre 1 % e la lettura corretta sarà 18,0 %. Viceversa a 15° C la stessa lettura di 19,0 %, una volta corretta darà 19,5 %. Il miele dovrà avere la stessa temperatura del rifrattometro: in caso contrario la lettura non sarà nitida fino a che la temperatura del miele non si sarà equilibrata con quella dello strumento. Occorre fare attenzione a non riscaldare lo strumento con il calore della mano, tenendolo ben saldo ma solo con tre dita (pollice, indice e medio) e non con tutto il palmo della mano. Le variazioni di temperatura sono la causa maggiore di imprecisione quando si usa questo tipo di strumento: in commercio ne esistono dei modelli che hanno un piccolo termometro incorporato che indica direttamente il valore della correzione da applicare alla lettura. Per gli altri modelli è bene dotarsi di un termometro da tenere nella stessa custodia del rifrattometro.
L'altra analisi che ha un'utilità generale, ma più nello specifico per la selezione dei mieli uniflorali, e che ogni apicoltore può fare in proprio, è l'analisi organolettica.
Anche un apicoltore che tratti solo miele di propria produzione può avere la necessità di qualche analisi aggiuntiva, da far effettuare a un laboratorio esterno. Per esempio nel momento in cui mette a punto il proprio sistema di lavorazione del miele, può verificare, attraverso il controllo dei parametri di invecchiamento (HMF e diastasi) sul prodotto prima e dopo il processo, se il sistema è ben costruito o può produrre danni al miele. Occasionalmente si può trovare con partite di miele che non sono state vendute con la rapidità abituale e sulle quali può essere necessario verificare gli stessi parametri. Oppure nella selezione dei mieli uniflorali, sulle partite che presentano caratteristiche organolettiche tali da lasciare dubbi sull'unifloralità ("Potrà o no chiamarsi robinia questo miele?"), può richiedere il controllo delle caratteristiche microscopiche o anche solo di alcuni parametri fisico-chimici tra i più significativi (per esempio colore e conducibilità elettrica, nel caso di prima). O ancora, nel caso sussista il dubbio di una contaminazione del miele con un prodotto usato per la lotta alla varroa, potrà richiedere la ricerca dei residui della sostanza usata.
Per le attività commerciali o le grandi cooperative, invece, può diventare indispensabile un controllo analitico più costante delle partite in entrata, in quanto chi si assume la responsabilità del prodotto nei confronti del consumatore non ne ha seguito le prime fasi di produzione. Al di sopra di una certa taglia, soprattutto quando si voglia garantire al consumatore una qualità superiore a quella di legge, può diventare interessante disporre, all'interno dell'azienda stessa, di un piccolo laboratorio, minimamente attrezzato, per poter effettuare le più utili e comuni analisi (umidità, colore, HMF, diastasi, acidità, conducibilità, analisi organolettica). Nella tabella 4 è riportato un protocollo di controllo utilizzabile in una grossa cooperativa o azienda commerciale che disponga di un piccolo laboratorio interno. In questo caso la priorità è il controllo delle caratteristiche maggiormente a rischio: nella situazione attuale la probabilità che il prodotto offerto sul mercato all'ingrosso non sia miele ma il risultato di una sofisticazione è estremamente remota. Pulizia, umidità e HMF sono i parametri di qualità che vanno controllati con maggiore costanza. L'analisi organolettica e la misura del colore permettono, nella maggior parte dei casi di selezionare i prodotti uniflorali; nei casi dubbi altre semplici determinazioni (acidità e conducibilità elettrica) possono essere già sufficienti a risolvere le incertezze, che diversamente devono essere fugate da un'analisi pollinica, fatta da un laboratorio esterno. Per avere una idea della tendenza del miele a cristallizzare, utile sia per poter fornire al consumatore prodotti costanti da questo punto di vista che per selezionare alcuni mieli uniflorali, si possono effetuare dosaggi semplificati dei principali zuccheri del miele (metodo enzimatico di misura del glucosio e del fruttosio o titolazione degli aldosi per stimare il glucosio). Questi metodi hanno il vantaggio di non richiedere una attrezzatura diversa da quella già necessaria per le altre analisi di base, anche se non hanno la precisione e la completezza dei metodi strumentali. Quando la semplice dotazione del laboratorio non può far fronte a quesiti diversi (sospetto sull'origine geografica dichiarata, sulla presenza di sostanze contaminanti, sulle frodi) si potrà ricorrere a un laboratorio esterno specializzato.
Sul prodotto pronto per la commercializzazione la verifica analitica delle stesse caratteristiche ha soprattutto lo scopo di tenere sotto controllo i processi di lavorazione e invasettamento, visto che se si sono controllate le materie prime in entrata non c'è motivo di pensare che il prodotto finito non abbia i requisiti necessari. Più importanza si deve invece dare alla presentazione del prodotto, attraverso l'analisi organolettica, la misura del colore e il filth test, che consiste nella valutazione visiva delle piccole impurità eventualmente presenti nel miele mediante dissoluzione, filtrazione e osservazione del filtro con una lente o allo stereomicroscopio.
Chi infine debba controllare il miele solo alla fine della filiera produttiva, senza conoscerne la storia, dovrà necessariamente far ricorso a tutte le armi di cui dispone. E' il caso degli organi che tutelano il consumatore (servizi sanitario nazionale, repressione frodi).
Tabella 4: Protocollo per il controllo di qualità del miele in entrata per una azienda di confezionamento
Parametro |
Metodo di controllo |
Limiti |
Stato dei contenitori |
Osservazione diretta |
Idonei e in buono stato |
Omogeneità della partita |
Osservazione diretta |
Caratteristiche visibili omogenee nella fornitura |
Impurità |
Osservazione diretta sui fusti |
Presenza di impurità limitata e di natura "endogena" (frammenti di cera e di api) |
Caratteristiche organolettiche |
Analisi organolettica su un campione medio |
Assenza di difetti quali odori e sapori estranei o di fermentato o di cotto o sgradevoli. Corrispondenti al campione. Corrispondenti agli standard previsti per la denominazione di vendita. |
Colore |
Comparatore ottico Lovibond |
Corrispondente al campione o agli standard previsti per la denominazione |
Umidità |
Metodo rifrattometrico |
Inferiore a 18,0 % |
HMF |
Metodo colorimetrico |
Inferiore a 10 mg/kg |
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