LA DETERMINAZIONE DELL’ORIGINE
GEOGRAFICA NEL MIELE E LE FRODI COLLEGATE
Testo pubblicato su Lapis, 1997
(5).
In una serie di articoli ci proponiamo di affrontare i vari
aspetti della frode sul miele. Non si deve pensare che si debbano intendere
come sofisticazioni solo le contraffazioni del prodotto (il “miele” di
zucchero, per intenderci), che tutto sommato devono ritenersi estremamente rare
e collegate a particolari mercati; molto più comuni sono invece le frodi
sull’origine geografica e botanica del prodotto.
Nel caso dell’origine geografica, quando un miele viene
venduto con una denominazione che non gli corrisponde, è difficile pensare ad
un errore in buona fede del responsabile della commercializzazione; a questo
tipo di frode, forse attualmente la più diffusa, viene dedicato il primo
articolo della serie.
Nel caso delle denominazioni botaniche invece, a causa della
complessità del problema, non sono infrequenti errori di valutazione del
prodotto da parte dell’apicoltore e di chi commercializza; questi errori però
solo raramente portano alla commercializzazione del prodotto con una
denominazione meno remunerativa e sono quindi, quasi sempre, a svantaggio del
consumatore. Questo capitolo del nostro dossier “frodi” sarà quindi più
finalizzato a fornire le corrette informazioni sulla definizione dei mieli
uniflorali e sui sistemi di controllo a chi ha la responsabilità di stabilire
la denominazione di vendita del miele, piuttosto che a informare e mettere in
guardia sulla concorrenza sleale.
Nell’ultima parte si affronterà il problema delle
contraffazioni vere e proprie. Su questo argomento il gruppo di lavoro “MIELE”
del COPA-COGECA sta raccogliendo materiale a livello europeo, avendolo
identificato come problema emergente, collegato alla diminuzione della
disponibilità mondiale del prodotto; le informazioni che riporteremo saranno
quindi integrate da questi dati aggiornati.
Da: Enciclopedia Generale De
Agostini, 1996 |
|
FRODE |
in
diritto penale, il comportamento fraudolento, cioè contrario alla lealtà e
buona fede, diretto a ledere i diritti altrui, costituisce un elemento
essenziale o una circostanza aggravante di determinati reati |
SOFISTICAZIONE ALIMENTARE |
adulterazione
e contraffazione, a scopo di lucro, delle qualità naturali di un prodotto
alimentare |
ADULTERAZIONE |
frode
consistente nel vendere generi alimentari con caratteristiche diverse da
quelle dichiarate |
CONTRAFFAZIONE |
imitazione
fraudolenta di un prodotto, la cui composizione viene regolata per legge da
particolari norme |
L’origine geografica come
elemento di scelta del consumatore
Il miele è indubbiamente un prodotto
molto legato al territorio di produzione, in quanto le sue caratteristiche di
composizione e organolettiche derivano principalmente dalla tipo di flora
bottinata. Oltre alle variazioni di vegetazione, altri elementi legati al
territorio influenzano le caratteristiche del prodotto: il tipo di suolo, lo
sviluppo delle diverse attività umane con le possibili ricadute negative sulla
salubrità del prodotto (inquinamento) oltre che sulla costanza delle produzioni
(diversa diffusione negli anni di piante agricole di interesse apistico,
variazioni nelle risorse spontanee), le tecniche di produzione (dal tipo di ape
e di alveare fino ai sistemi di lavorazione e di trasporto).
L’elemento origine geografica non permette di stabilire
graduatorie qualitative assolute e immutabili, ma è sicuramente alla base di
differenze relativamente costanti, riconoscibili sia a livello organolettico
che di composizione e che rendono i prodotti di diversa origine geografica non
equivalenti l’uno all’altro. Alle differenza obiettive e verificabili a livello
analitico devono aggiungersi quelle di immagine che fanno sì che il consumatore
preferisca un prodotto all’altro anche senza conoscerne le caratteristiche
obiettive.
Questa situazione di fatto è riconosciuta dalla legge
italiana sul miele che prevede due livelli di denominazione geografica, uno
volontario e l’altro obbligatorio. Il livello volontario (art. 6) stabilisce
che il miele può essere
commercializzato con una indicazione relativa all’origine geografica, quale un
nome regionale, territoriale o topografico, qualora il miele provenga
totalmente dall’origine indicata. Il livello obbligatorio (art. 3 della legge
753/82 come successivamente e ripetutamente modificato) discrimina il miele
prodotto totalmente o in parte all’esterno della Comunità Europea, ponendo
l’obbligo di porre le menzioni indicate nella tabella 1.
Nell’attuale direttiva comunitaria, della quale la legge
italiana dovrebbe essere il recepimento completo e privo di modifiche, gli
obblighi relativi alle denominazioni d’origine non sono così puntuali: si
indica solo che “gli Stati membri possono
mantenere le disposizioni nazionali che prescrivono l’indicazione del paese
d’origine, fermo restando che tale menzione non può più essere richiesta per il
miele originario della Comunità”. E’ attualmente in corso l’aggiornamento
di questa direttiva ed è prevedibile che gli obblighi previsti siano mantenuti
più o meno negli stessi termini. Questo lascia aperta una strada, un po’
tortuosa a dire il vero, al prodotto extracomunitario commercializzato senza
indicazione d’origine geografica, in quanto un miele confezionato in Germania,
dove non esiste l’obbligo di indicare l’origine extracomunitaria, può, per il
principio della libera circolazione delle merci tra gli Stati membri, essere
venduto in Italia senza necessità di adeguare le etichette alle più restrittive
norme italiane. Per eliminare questa possibilità occorrerebbe che l’obbligo di
discriminare il prodotto extracomunitario fosse introdotto nella stessa
direttiva e non lasciato alla facoltà degli Stati membri. E’ la richiesta dei
rappresentanti degli apicoltori del sud Europa, ma non è detto che questi
avranno la forza per contrapporsi ai rappresentanti degli importatori e
dell’industria alimentare del nord Europa e farla accettare.
Tabella 1: menzioni relative
all’origine geografica obbligatorie secondo la legge 753/82
Origine del miele |
Menzioni obbligatorie |
Comunitaria |
- |
Comunitaria + Extracomunitaria |
Miscela di mieli comunitari e
extracomunitari + paesi extracomunitari |
Extracomunitaria (di un solo paese) |
Miele extracomunitario + paese |
Extracomunitaria (di più paesi) |
Miscela di mieli extracomunitari +
paesi |
Il controllo e la tutela
dell’origine geografica: l’analisi melissopalinologica
Rispetto agli altri prodotti agroalimentari legati al
territorio (vini, formaggi, salumi, oli) il miele possiede un grandissimo
vantaggio: quello del certificato d’origine incorporato. Il miele infatti
contiene una quantità variabile, ma sempre presente, di granuli pollinici
derivanti dalle piante sulle quali è stato bottinato il nettare, da quelle
bottinate per il polline e dall’ambiente di produzione. Dall’osservazione
microscopica dei granuli pollinici è possibile identificare le piante che li
hanno prodotti, risalire quindi a un particolare tipo di vegetazione e,
conseguentemente, alla zona di produzione.
La melissopalinologia (studio del polline nel miele) è una
branca relativamente antica della palinologia (studio del polline e delle
spore): il primo studio sulla microscopia del miele risale al 1895 e nel primo
ventennio di questo secolo le basi di questa tecnica erano già state
costituite. Nel 1927 la federazione degli apicoltori tedeschi, sollecitò il
prof. Zander a elaborare un sistema di controllo dell’origine geografica del
miele sulla base dell’analisi pollinica che potesse fornire le basi per una
efficace protezione del prodotto locale. La Germania era già allora uno dei
maggiori importatori mondiali di miele e il problema dell’origine del prodotto
era molto sentita, anche considerando che in quel momento i valori del
germanesimo si stavano affermando in tutti i campi. Il monumentale lavoro del
prof. Zander fu pubblicato in 5 volumi (editi dal 1935 al 1951), è
rappresentato da 1015 pagine e 128 tavole fotografiche e costituisce ancora
oggi un riferimento importante.
La tecniche melissopalinologiche si sono diffuse
successivamente anche negli altri paesi europei (meno al di fuori dell’Europa,
dove evidentemente l’origine del miele viene considerato un parametro di
importanza minore). Se il problema del prof. Zander era quello di distinguere
il miele tedesco da quello del resto del mondo e quindi i pollini venivano
classificati in nostrani e stranieri, i melissopalinologi che l’hanno seguito
si sono invece più preoccupati della caratterizzazione dei mieli di ogni
origine economicamente interessante e all’applicazione della stessa tecnica
nella valutazione dell’origine botanica.
Il metodo di caratterizzazione geografica è relativamente
semplice: occorre raccogliere una campionatura sufficientemente ampia e
rappresentativa (possibilmente di anni diversi) del prodotto dell’origine da
studiare; attraverso lo studio si stabiliscono dei modelli con i quali
confrontare poi i prodotti incogniti.
Le tecniche di studio e di analisi coincidono. Il polline
contenuto nel miele viene isolato attraverso la centrifugazione del prodotto
diluito in acqua e montato su un vetrino da microscopio. Il polline può essere
montato tal quale, incluso in gelatina glicerinata, eventualmente colorato o
trattato in maniera tale da evidenziare la struttura della parete esterna, che
è la parte del polline più studiata e quindi documentata.
Il riconoscimento dei pollini si basa sulla conoscenza che
l’analista ha acquisito studiando preparati di riferimento, ottenuti dal
polline raccolto direttamente dalle piante in questione, o dalla descrizione
iconografica della letteratura specializzata. In ogni miele sono presenti da
poche centinaia fino a circa un milione di granuli pollinici per grammo; i tipi
pollinici riscontrabili in ogni preparato variano da pochi tipi (una decina) a
un centinaio: nel lavoro routinario la “lettura” del vetrino non può, per
motivi pratici, prevedere il conteggio di tutti i granuli presenti, ma una
numero ridotto (100 - 1.000 a seconda del miele e del livello di precisione
richiesto). Nella determinazione dell’origine geografica assume maggiore
importanza la determinazione delle specie presenti con piccola o piccolissima
frequenza, che vengono identificate con una osservazione quanto più completa
possibile della preparazione, al di fuori del conteggio.
Attraverso l’elaborazione dei risultati delle analisi
eseguite sui mieli campionati e studiati si evidenziano gli elementi comuni ai
prodotti della zona. L’ideale sarebbe ritrovare forme polliniche
particolarmente significative in quanto esclusive della zona studiata e presenti
costantemente (forme polliniche traccianti). Una eventualità di questo tipo è
estremamente rara, ma si conoscono indicatori di grande valore diagnostico,
quali ad esempio le Mimosoidee nei mieli tropicali. Sono invece relativamente
comuni le forme polliniche esclusive di alcune zone, ma non costanti e presenti
solo con piccolissime frequenze (forme polliniche guida). Più spesso si
evidenziano associazioni tipiche (spettri guida), costituite cioè da tipi
pollinici presenti anche in mieli di altra origine, ma diversamente associati:
ad esempio i mieli della Florida sono caratterizzati dalla costante presenza di
Sophora, Citrus, Ilex e Nyssa. Altro elemento può essere la
frequenza di una forma pollinica: sempre nello stesso esempio, Ilex (l’agrifoglio) può essere presente
anche in numerosi mieli europei, ma mai a livello di polline dominante. Il
resto dello spettro fornisce ulteriori informazioni: soprattutto nel caso di
molti pollini presenti con basse frequenze, la sola presenza non è elemento
diagnostico, ma la presenza associata a uno spettro di base già caratteristico,
fornisce la conferma dell’origine sospettata.
Se uno spettro pollinico dipende ovviamente dalla
vegetazione della zona di produzione, tuttavia nessuna previsione può essere
fatta riguardo alla reale rappresentatività delle diverse specie nei mieli che
ne derivano. In altre parole la determinazione dell’origine geografica si basa
sempre sul confronto tra lo spettro pollinico del miele in esame e i modelli
verificati. Purtroppo buona parte delle informazioni relative agli spettri
pollinici dei mieli prodotti nelle varie parti del mondo non sono disponibili
in letteratura, ma patrimonio di ogni singolo analista. Attualmente la maggior
parte dei confronti tra i riferimenti e il prodotto incognito viene fatta su
base mnemonica dall’analista, con la verifica dei dati delle analisi precedenti
e della letteratura, ma sono stati impostati anche sistemi informatizzati, in
cui l’analisi del prodotto incognito, costituita da decine di dati (presenza/assenza
delle diverse forme polliniche e loro frequenza relativa e assoluta) può essere
confrontata, anche con l’ausilio di test statistici di significatività, con una
vera e propria banca dati. Ogni valutazione dell’origine geografica costituisce
quindi una perizia complessa, alla quale concorrono tutti i dati disponibili.
Difficoltà e limiti dell’analisi
pollinica per la determinazione dell’origine geografica
Già questa descrizione del metodo
dell’analisi pollinica per la determinazione dell’origine geografica ha messo
in evidenza un parte delle difficoltà di applicazione, ma ne esistono altre.
La prima riguarda il fatto che le analisi devono essere
svolte da personale estremamente specializzato, in quanto il riconoscimento dei
pollini si basa sulla memoria visiva dell’analista e sulla familiarità che
questi ha con le forme da identificare. E’ necessario un lungo tirocinio e
l’allenamento deve essere costante: i tecnici che si occupano di analisi
pollinica devono quindi dedicarsi a questa attività a tempo pieno o quasi.
Il secondo problema riguarda la standardizzazione
dell’analisi stessa: il riconoscimento dei pollini da parte degli analisti può
essere standardizzato solo attraverso una formazione uniforme e un costante
aggiornamento e controllo dei tecnici (attraverso analisi interlaboratorio).
Per quello che riguarda la standardizzazione dell’interpretazione dei
risultati, l’unico sistema proponibile è rappresentato da quello informatico,
che è di uso ancora limitatissimo, non esistendo una banca dati sufficientemente
estesa.
Esiste inoltre una imprecisione di base sulla valutazione
dello spettro pollinico che non permette di arrivare a risultati riproducibili
quanto quelli ottenibili con altri tipi di analisi; in primo luogo il
campionamento (la preparazione di un vetrino a partire da 10 grammi di miele e
l’osservazione di una frazione del sedimento che se ne ottiene) è troppo
ridotto per poter avere dei risultati identici, in termini di tipi pollinici
riscontrati, ripetendo l’analisi. In secondo luogo, per avere un’accuratezza
dell’ordine dell’1 % nella stima delle frequenze relative occorrerebbe
effettuare un conteggio su 40.000 granuli pollinici e questo è incompatibile
con l’economicità del sistema. I melissopalinologi conoscono i limiti della
tecnica e non si meravigliano delle differenze tra ripetizioni delle analisi
imputabili a questi aspetti, ma il profano può pensare a una incompetenza di
uno o dell’altro laboratorio. Purtroppo, se si vogliono utilizzare le
informazioni che questo tipo di analisi può offrire, bisogna accettarne i
limiti.
Un altro problema consiste nelle variazioni che gli spettri
pollinici dei mieli di determinate zone possono subire in conseguenza delle
variazioni dell’agroecosistema o dei sistemi di apicoltura o anche dell’evoluzione
tecnica e di mercato. Ad esempio in passato elevate percentuali di polline di
girasole o di facelia erano considerate una chiara indicazione riguardo
all’origine est europea del miele. Dagli anni ottanta il girasole ha smesso di
avere tale preciso valore diagnostico e oggi sta avvenendo lo stesso per la
facelia. Occorre quindi mantenere un costante aggiornamento delle informazioni.
Il limite maggiore della determinazione dell’origine
geografica attraverso l’analisi microscopica del miele riguarda il fatto che lo
spettro pollinico originario di un miele può essere facilmente modificato nel
corso della lavorazione, proprio con finalità di frode. Lo spettro pollinico
può essere modificato o attraverso miscelazione tra mieli diversi o eliminando
il polline presente nel miele con un processo di filtrazione spinta (filtri
pressa o filtri a cartoni).
Nel primo caso, visto che in molti casi l’interpretazione
dello spettro si basa su associazioni specifiche e valutazione della
presenza/assenza di forme caratteristiche, una miscela tra due o più mieli può
portare a mascherare o togliere valore diagnostico ad alcune associazioni
polliniche. Nella maggior parte dei casi, comunque, integrando l’analisi
pollinica con le conoscenze relative alla disponibilità di miele delle diverse
origini, è possibile arrivare a interpretare correttamente anche gli spettri
composti. Occorre rilevare che, anche in funzione della diversa quantità di
polline totale nei diversi tipi di miele, progettare un miele fraudolento con
uno spettro pollinico che non desti sospetti richiede conoscenze
melissopalinologiche approfondite quanto quelle dell’analista.
Più subdola la filtrazione spinta, legalmente vietata
proprio per assicurare la possibilità di controllo dell’origine geografica e
botanica attraverso le caratteristiche microscopiche del miele. Un miele
filtrato si riconosce facilmente per il ridottissimo numero di elementi
figurati presenti: la filtrazione in questo caso ha la finalità di ridurre i
rischi di ricristallizzazione e viene applicata, come tecnica corrente, nella
lavorazione del miele destinato alla commercializzazione allo stato liquido
negli Stati Uniti e in altri Paesi del continente americano, dove la tecnica è
ammessa. Normalmente in questi mieli è comunque possibile risalire all’origine
geografica, se i pochi pollini residui riproducono, su scala ridotta, lo
spettro originale. Se però questo miele viene addizionato di altri prodotti, in
questo caso con finalità fraudolente, lo spettro apparirà, con modifiche
quantitative più o meno sostanziali, come quello dei mieli aggiunti dopo
filtrazione. In questo caso la frode può essere scoperta se esistono dei
parametri caratteristici al di fuori delle caratteristiche microscopiche
(particolarità compositive o organolettiche) o se il residuo di sedimento del
miele originario filtrato presenta caratteristiche tanto significative da poter
essere riconosciute anche nella miscela. A parte il fatto che una simile frode
deve comunque essere giustificata dalla convenienza economica, che è tutt’altro
che evidente, considerati i costi di lavorazione aggiuntivi, questa
sofisticazione potrebbe essere attuata solo nell’ambito di strutture di
lavorazione che possiedano sistemi di riscaldamento su strato sottile (il miele
può passare nei filtri di questo tipo solo se a 70 - 80° C) e il filtro
incriminato: il sistema di controllo riguarda in questo caso l’idoneità legale
o meno degli impianti di lavorazione presenti in azienda.
Sono allo studio sistemi di analisi
chimiche e strumentali che possano sostituire e superare i limiti dell’analisi
pollinica. Si basano sul fatto che nei derivati vegetali è riconoscibile
l’impronta dell’ambiente dove le piante si sono sviluppate, soprattutto in
termini di elementi rari, che non sono distribuiti in maniera uniforme nella
sfera terrestre. Questi metodi sono già applicati per altri prodotti
agroalimentari (vino) e potranno forse, in un prossimi futuro, essere utili
anche in campo apistico.
Frodi sull’origine geografica
Se è facilmente immaginabile perché i tedeschi degli anni
’30 preferivano il miele tedesco a quello di altrove, perché gli italiani
d’oggi dovrebbero preferire il prodotto nazionale a quello d’importazione? In
effetti è probabile che molti una preferenza non l’abbiano semplicemente in
quanto ignorano il problema e magari non si sono neanche accorti di avere già
comprato, senza saperli, miele cinese. Messi di fronte al problema - “Questo è
cinese e questo italiano; quale vuoi?” - non penso che molti avrebbero dubbi, a
parità di prezzo.
E’ proprio qui il problema: la frode sull’origine geografica
permette di aggiungere un plus, l’origine nazionale o comunque “non cinese”
(cioè l’assenza di indicazioni relative all’origine), al prodotto che si
posiziona in una definita fascia di mercato, spesso la più bassa. Non ha invece
bisogno di mentire riguardo all’origine chi vende miele d’importazione puntando
sulla propria immagine o sulla qualità intrinseca del prodotto.
Per un’altra categoria di persone la tentazione può essere
molto forte: qual è quell’apicoltore che non si pone il problema quando non
dispone di sufficiente prodotto ed è sollecitato dal consumatore che è disposto
a comprarlo da lui, ad un prezzo più alto rispetto al supermercato, con la
convinzione di acquistare un prodotto artigianale e locale? In questo caso il
consumatore non solo vuole miele nazionale, ma fatto sul posto e quindi si apre
la strada per due possibili livelli di frode: quello relativo alle indicazioni
obbligatorie e quello relativo alle indicazioni geografiche volontarie, a
seconda del miele che viene commercializzato.
C’è infine chi decide di giocare sul fatto che il
consumatore non legge, o comunque se legge non sa interpretare, l’etichetta ed
evidenziando bene la località in cui ha sede l’azienda (un bel posto turistico
e pieno di fascino) o con una opportuna denominazione dell’azienda (che
comprenda, per esempio, un riferimento territoriale) e riducendo eventualmente
ai limiti della leggibilità le indicazioni obbligatorie riguardo all’origine
extracomunitaria, si presenta con un prodotto che il consumatore acquista per
locale, ma che non lo è né in realtà, né sull’etichetta.
La frequenza di queste frodi o inganni non perseguibili è
probabilmente rilevante, si tratta comunque di osservazioni fatte curiosando
nei punti vendita e attraverso analisi di prodotti destinati al consumatore
finale che occasionalmente mi capitano per le mani. In realtà dati obiettivi
sull’argomento non sono disponibili e il lettore prenderà le mie affermazioni
per quello che sono: impressioni di un operatore del settore. In ogni caso la
sensazione è che la frode sull’origine geografica sia diffusa, ma non molto
premeditata, fatta un po’ a casaccio, senza eccessive preoccupazioni per i
controlli, che in quest’ambito sono pochissimi in quanto nessun laboratorio
pubblico deputato ai controlli ha in forze i tecnici specializzati necessari.
Si resta senza miele, si compra prodotto di importazione, l’unico disponibile,
e si usano le stesse etichette di prima, quelle usate per il proprio, tanto chi
può verificare? Anche le frodi effettuate su prodotti destinati a una
commercializzazione di più largo respiro sembrano pensate con gli stessi
criteri (e tanto chi se ne accorge?), senza tentativi di mascherare l’origine
per mezzo della miscelazione con miele nazionale. Considerato il tipo di frodi
che ho avuto modo osservare mi viene da pensare che un certo numero di
controlli e le conseguenti sanzioni potrebbero funzionare da deterrente ed
avere un effetto moralizzatore notevole.
Spettri pollinici tipici
Passiamo rapidamente in rassegna gli
elementi sui quali si basa il riconoscimento dell’origine geografica nei
prodotti di importazione più comunemente commercializzati in Italia. Questa
parte può apparire come uno sterile elenco di nomi latini, ma può rendere conto
del fatto che, nonostante le numerose critiche riportate prima, la tecnica di
analisi pollinica ha comunque una base nota, comune a tutti gli specialisti del
settore e documentata. I prodotti di importazione più diffusi in Italia sono i
mieli cinesi (acacia e millefiori), dell’est Europa (millefiori, acacia e
tiglio), argentino (millefiori), spagnolo (alcuni uniflorali quali timo,
lavanda, agrumi) e messicano (millefiori).
Miele cinese:
dire Cina equivale a un continente, dove sono rappresentati tutti i tipi di
clima e questo è ben visibile anche nei prodotti che giungono in Europa, come
suggerisce la ricchezza e la variabilità di spettri pollinici. Tuttavia nei
prodotti standard si ritrovano degli elementi comuni, che permettono di
stabilire con sicurezza l’origine del prodotto. Il primo elemento di
riconoscimento in realtà non è pollinico, ma organolettico ed è rappresentato
dal costante sapore metallico (corrispondente a valori di ferro, proveniente
dai contenitori di stoccaggio, molto superiori ai valori conosciuti per tutti
gli altri mieli) e dal sapore di fermentato (dovuto alle tecniche di
lavorazione). A livello microscopico l’elemento più evidente è rappresentato da
un fondo continuo di lieviti di forma particolarmente rotondeggiante e rigonfia,
che costituiscono un elemento di orientamento per l’analista e che non vengono
eliminati completamente neppure dalla filtrazione spinta. A livello di spettro
pollinico nei millefiori è comune una prevalenza netta di Brassica, presente in maniera consistente anche nei mieli d’acacia.
Altri elementi pressoché costanti e caratteristici sono Robinia, Rhamnus, Tilia, Astragalus sinicus, Scrophulariaceae,
Fagopyrum, Polygala, Polemonium, Thalictrum, Cucumis, Citrullus, Sanguisorba
major, Evodia, Sesamum.
Miele dell’est Europa:
nei mieli di acacia l’associazione più tipica è costituita dalla presenza di Cruciferae, Robinia, Phacelia, Symphytum,
Chelidonium, Gleditsia, Loranthus europaeus, Vicia; questi mieli hanno
spesso un quantitativo totale di polline superiore alle acacie italiane. Nei mieli millefiori si ritrovano le
stesse componenti, associate a quantità più o meno consistenti di Helianthus. I mieli di tiglio dell’est
Europa si differenziano da quelli nazionali soprattutto per l’elevato contenuto
del polline di Tilia, che risulta
inoltre associato agli elementi sopra ricordati, oltre che a Castanea.
Miele argentino: il millefiori argentino costituiva il prodotto più importato fin a due anni fa, ma sono intervenuti dei cambiamenti a livello del mercato internazionale che hanno aumentato a tal punto il prezzo del miele di questa origine, da ridurne sostanzialmente la sua presenza nel nostro paese. Si tratta di un prodotto estremamente costante e decisamente monotono; i pochi tipi pollinici sempre presenti sono: Trifolium repens gr., Melilotus, Lotus corniculatus gr., Echium, Eucalyptus, Cruciferae, Helianthus f., Compositae forma S, Daucus f. ed eventualmente Prosopis e Bursera, con una proporzione maggiore dei primi tre tipi nei mieli più chiari.
Miele spagnolo:
nonostante la relativa vicinanza geografica i mieli spagnoli presentano
numerosi elementi di identificazione che ne permettono il riconoscimento sicuro
anche quando presenti in piccola proporzione in una miscela complessa. Questo è
dovuto alla frequente estrema ricchezza di polline di origine secondaria
(polline bottinato come tale dalle api) di specie vicine a quelle della nostra
flora ma con tipi pollinici facilmente riconoscibili e differenziabili. Gli
elementi caratteristici sono i seguenti Cistus
ladanifer gr. e altre Cistaceae,
Thymus, Lavandula stoechas, Lavandula latifolia, Erica umbellata, Erica vagans,
Hypecoum, Ulex gr., Quercus, Citrus,
Eucalyptus, Echium, Rosmarinus, Onobrychis, Rubus.
Miele messicano:
i mieli di ambienti a clima decisamente diverso dal nostro non pongono in
genere problemi di riconoscimento, per lo meno nella definizione dell’origine
extraeuropea e di zona tropicale. Può essere invece più difficile attribuire un
nome a forme polliniche appartenenti a una flora della quale si hanno
informazioni molto ridotte. Sono forme caratteristiche dei mieli tropicali tipi
pollinici appartenenti ai gruppi delle Mimosoideae,
Cesalpinioideae, Myrtaceae, Bombacaceae, Acanthaceae, Compositae forma H, Euphorbiaceae, Proteaceae e molti altri,
spesso dotati di forme molto insolite e vistose.
Mieli italiani:
conosciamo i prodotti nazionali con una maggiore precisione rispetto
all’immagine sfuocata e lontana con la quale rappresentiamo la flora apistica
degli altri paesi. L’attività di diversi ricercatori, attivi dagli anni 60 a
tutt’oggi, ci permette di avere una mappatura delle principali produzioni
nazionali. Questo è indispensabile per verificare la veridicità delle
indicazioni territoriali volontarie, ma anche per l’interpretazione degli
spettri di mieli in cui è richiesta solo la valutazione dell’origine nazionale
o meno. Infatti nell’interpretazione di uno spettro pollinico si usano tutte le
armi a disposizione e quindi non solo le interpretazioni in positivo, ma anche
quelle per esclusione. Anche se per alcune zone sono possibili distinzioni
molto più accurate, a grandi linee l’Italia apistica può essere divisa in
alcune grandi zone melissopalinologiche che possiamo così definire:
· l’arco alpino
· la parte occidentale delle Prealpi
· la parte orientale delle Prealpi
· la pianura padana
· l’Italia centrale del versante tirrenico
· l’Italia centrale del versante adriatico
· l’Italia del sud del versante tirrenico
· l’Italia del sud del versante adriatico
· la Sicilia
· la Sardegna
Ognuna di queste zone è
caratterizzata da produzioni tipiche e da alcuni marcatori specifici, ma
sarebbe troppo lungo e privo di reale interesse farne qui una lista esaustiva.
Si ricorda solo la specie che viene ritenuta maggiormente discriminante e cioè
la sulla (Hedysarum coronarium), che
in melissopalinologia internazionale viene ritenuta tipica dell’origine
italiana, in quanto non presente nel resto dei Paesi europei alla nostra
latitudine, ma solo in nord Africa, dove però si trova associata a specie di
climi più caldi. La sulla è presente praticamente in tutti i mieli prodotti a
sud del crinale appenninico emiliano-romagnolo ed è completamente assente al
nord di questa linea (tranne che sulle colline argillose della Romagna). Poiché
questa divisione dell’Italia coincide, più o meno, con una ripartizione
economica dell’apicoltura (a nord si vende più di quello che si produce e a
sud, il contrario) risulta particolarmente facile usare questo indicatore
(presenza/assenza di sulla) per verificare l’origine di prodotti venduti al
nord come prodotti locali.