MIELE DI
QUALITA': TECNICHE DI PRODUZIONE E LAVORAZIONE
testo pubblicato in: Pinzauti M. (a cura di) Temi di
apicoltura moderna. 1994, Regione Toscana (pg 210-223)
Le normali
tecniche di conduzione degli alveari sono, in pratica, finalizzate direttamente
(spostamenti sui luoghi di produzione, aumento dello spazio interno necessario
per lo stoccaggio del miele e raccolta) o indirettamente (per esempio, pratiche
per favorire lo sviluppo precoce delle famiglie, controllo della sciamatura,
nutrizione di sostentamento, controllo delle malattie e delle parassitosi) alla
produzione di miele.
Una
produzione quantitativamente importante si basa su colonie che siano formate
dal massimo possibile di api adulte al momento del raccolto, che, tuttavia, non
deve essere utilizzato dalla colonia stessa per un ulteriore sviluppo, che non
sarebbe utile alla fine del flusso nettarifero. Le tecniche che tendono a
produrre queste condizioni variano quindi notevolmente a seconda dell'ambiente
in cui l'apicoltore opera. All'inizio del flusso nettarifero viene fornito alla
colonia spazio per la deposizione del nettare raccolto sotto forma di melari o
ulteriori corpi d'arnia, eventualmente separati dal nido con griglia escludi
regina. A raccolto conclusosi (o quando i melari sono pieni) i melari vengono
prelevati utilizzando un idoneo sistema per eliminare le api da questi. Il
metodo più semplice consiste nel prelevare i favi uno per uno, eliminando le
api che li ricoprono scuotendoli e spazzolandoli. Un sistema alternativo
consiste nell'interporre tra nido e melari da prelevare un diaframma fornito di
un dispositivo che permetta il passaggio delle api in un solo senso (apiscampo) in modo che, nel giro di un
giorno, i melari sono liberi da api e possono essere prelevati. Un altro
sistema molto utilizzato, ma poco consigliabile, per le possibili conseguenze
negative sulla qualità del miele, consiste nell'uso di repellenti chimici
(acido fenico, benzaldeide, nitrobenzene). Questi vengono spruzzati su superfici
assorbenti che vengono messe al posto dei coprifavi. I vapori che se ne
sprigionano obbligano le api ad allontanarsi (verso il nido) e rendono i melari
liberi da api in pochi minuti. Una tecnica più moderna e altrettanto rapida è
costituita dall'uso di un generatore di corrente d'aria (soffiatore) con il
quale le api vengono espulse forzatamente dai melari.
Alcuni dei
parametri qualitativi del miele dipendono direttamente dalle tecniche di
produzione adottate. Alcuni di questi vengono riassunti nella tabella 1.
L'aspetto
di interesse più generalizzato è senz'altro il contenuto d'acqua, dal quale
dipende la conservabilità del miele (più basso, più sicura). Anche se il
contenuto d'acqua può essere modificato successivamente alla raccolta dei
melari, la pratica più diffusa resta quella di estrarre dagli alveari solo il
miele che abbia raggiunto il giusto grado di maturazione. Per ottenere ciò è
indispensabile fornire alle colonie un numero di melari proporzionato
all'intensità del raccolto. Il prelievo deve essere effettuato a fine raccolto
o se questo non è consigliabile per altri motivi, bisogna aggiungere ulteriori
melari tra quelli pieni e il nido, alcuni giorni prima del prelievo, in modo da
raccogliere solo il miele che sia già stato adeguatamente concentrato. In
genere il miele è maturo quando si trova in favi completamente o quasi
completamente opercolati. Si deve evitare di raccogliere favi in cui sia stato
appena deposto del nettare fresco, che, con il suo elevato tenore di umidità
può "diluire" a livelli di rischio l'intera partita. In alcuni casi,
tuttavia, gli sforzi dell'apicoltore non sono sufficienti ad assicurare la
produzione di mieli con umidità ottimale. E' il caso degli ambienti in cui
l'umidità ambientale resta sempre a valori molto elevati; è possibile allora
intervenire in altro modo per assicurare al miele un'adeguata conservabilità
(vedi più avanti).
Tabella 1: tecniche apistiche che possono produrre effetti
negativi sulla qualità del miele.
Tecnica
apistica |
Possibile
danno al miele |
Posizionamento
degli alveari in zone densamente urbanizzate o industrializzate o comunque
soggette a forte inquinamento ambientale (anche da pesticidi per uso
agricolo) |
Contaminazione
del miele con residui di sostanze nocive alla salute o con sostanze zuccherine
diverse da nettare e melata |
Utilizzo
improprio di sostanze antibiotiche o disinfestanti per combattere o prevenire
avversità delle api |
Contaminazione
del miele con residui di dette sostanze |
Utilizzo di
sostanze organiche quali naftalina o p-diclorobenzolo per la protezione dalla
tarma della cera dei favi immagazzinati |
Contaminazione
del miele con residui di dette sostanze |
Utilizzo di
repellenti chimici per allontanare le api dal melario |
Contaminazione
del miele con residui di dette sostanze |
Utilizzo di
fumo inadeguato per quantità o tipo di materiale combusto |
Odore e
sapore di fumo del miele prodotto, impurità microscopiche di fuliggine |
Utilizzo di
favi vecchi e scuri e che abbiano contenuto covata |
Miele
con colore più scuro, odore "di favo", acidità più elevata,
invecchiamento più rapido |
Utilizzo di
favi da melario contenenti residui di miele dell'anno precedente |
Miele con
contenuto in lieviti elevato e quindi maggiormente soggetto a fermentazione;
cristallizzazione prematura di mieli tendenzialmente liquidi |
Prelievo dei
favi durante il flusso nettarifero |
Eccesso di
umidità |
Prelievo di
favi non completamente opercolati |
Eccesso di
umidità |
Un altro
aspetto qualitativo che sta assumendo sempre maggiore importanza in relazione
all'evoluzione dei consumi, riguarda l'origine botanica del miele, con
particolare riferimento ai mieli uniflorali. Sono sempre più richiesti mieli
che, derivando per la maggior parte da un'unica fonte nettarifera, possiedono
caratteristiche di composizione e, soprattutto, di aspetto, odore e sapore,
particolari e tipici dell'origine. Le tecniche di produzione dei mieli
uniflorali si basano sulla possibilità di mantenere separato dai raccolti che
lo precedono e che lo seguono un nettare che sia prodotto in quantità economicamente
interessante. Si fa largamente uso, per questo, della pratica del nomadismo;
gli spostamenti, la posa e il prelievo dei melari devono essere effettuati con
particolare tempestività. Si deve sorvegliare inoltre che le scorte di miele
presenti nel nido non siano tali (per quantità o qualità) da
"inquinare" il raccolto uniflorale. Ma anche se non è possibile o non
è commercialmente utile dedicarsi alla produzione di mieli unispecifici, le
caratteristiche organolettiche (aspetto, colore, odore e sapore) del miele
prodotto sono tra gli elementi che più ne determinano il pregio commerciale. E'
quindi sempre consigliabile evitare (o limitare o cercare di isolare) i
raccolti che diano prodotti scarsamente graditi, a vantaggio dei nettari più
pregiati.
Il miele
nei melari, in attesa di essere estratto, deve già essere considerato un
prodotto alimentare. Dal punto di vista igienico il miele è un prodotto
estremamente resistente, essendo in grado di inattivare la quasi totalità dei
microrganismi che accidentalmente vi vengano introdotti. Anche se il miele non
subisce alterazioni microbiche (fermentazione a parte) e non può costituire un
veicolo di microrganismi patogeni, perlomeno nella maggior parte delle normali
condizioni di utilizzo, questo non vuol dire che si debba dimenticare la sua
natura alimentare e non attuare le normali norme igieniche, per prevenire
contaminazioni con materiali diversi nonché quelle microbiche e chimiche
potenzialmente pericolose per la salute umana. Questa considerazione generale
deve essere tenuta presente in qualsiasi fase della produzione e trasformazione
del prodotto. Il miele ancora contenuto nei melari è particolarmente esposto a
tutti i tipi di contaminazione, offrendo una superficie di contatto enorme all'ambiente
esterno. L'aria umida, il trasporto senza protezione su strade sterrate, il
contatto con il suolo, l'esposizione ad insetti ed altri animali risultano per
questo notevolmente pregiudizievoli per la sua qualità. Ma questi aspetti sono
altrettanto importanti anche nelle fasi successive di lavorazione. L'ambiente
in cui si opera e in cui si immagazzina il prodotto in attesa di uteriore
trasformazione deve permettere la protezione da questi inconvenienti. Di
particolare importanza la natura dei materiali e dei recipienti utilizzati per
la lavorazione e la conservazione, che devono essere mantenuti puliti e
costruiti in materiali idonei a venire in contatto con un alimento di natura
acida, quale il miele, senza cedere sostanze pericolose o che possano conferire
al miele sapori estranei. L'acciaio inossidabile è il materiale che meglio
risponde ai requisiti sopra elencati.
La
disopercolatura è la prima fase della lavorazione vera e propria. Consiste
nell'eliminare lo strato di cera che chiude le cellette contenenti il miele.
Viene effettuata con l'ausilio di coltelli, che possono essere anche riscaldati
per facilitare l'operazione, o con disopercolatrici semi o completamente
automatiche, dotate di lame o catenelle che tagliano o frantumano la cera. Le disopercolatrici
automatiche a catenelle, utilizzate in prevalenza da chi possiede un elevato
numero di alveari, presentano l'inconveniente di sbriciolare la cera molto di
più degli altri sistemi "a taglio"; devono essere seguiti da sistemi
di purificazione del prodotto particolarmente accurati. Le più fini particelle
di cera prodotte da questo tipo di disopercolatura possono però restare
ugualmente inglobate nel miele e essere causa di una leggera torbidità e di una
più rapida cristallizzazione, caratteristiche che verranno considerate difetto
nei mieli da commercializzarsi allo stato liquido.
L'estrazione
vera e propria viene condotta per mezzo di smelatori centrifughi, di dimensioni
diverse secondo il tipo di attività, manuali o automatici, in cui i favi
vengono caricati uno a uno o per mezzo di appositi cestelli o negli stessi
melari. Con questi dispositivi il miele viene fatto uscire per forza centrifuga
e i favi restano disponibili per il successivo raccolto. Il miele può essere
estratto completamente solo se sufficientemente fluido e questo avviene di
norma se la sua temperatura è vicino ai 30°. Anche gli smelatori e le altre
attrezzature con le quali il miele viene a contatto in queste prime fasi di
lavorazione (banco per disopercolare, coltelli, griglie, recipienti) dovranno
essere in materiale idoneo al contatto con questo alimento.
Una
purificazione per eliminare le particelle di cera, le altre impurità e le bolle
d'aria che si sono miscelate al miele durante l'estrazione deve
obbligatoriamente seguire. Viene attuata con due tipi di tecnica: la
decantazione e la filtrazione.
La
decantazione consiste nel lasciare il miele a riposo in un adeguato
contenitore, abitualmente e impropriamente detto "maturatore", in
modo che le impurità, dotate di un diverso peso specifico, si separino dalla
massa del miele. Si concentrano in superficie (cera, insetti e parti di
insetti, materiali organici di varia natura, bolle d'aria) o sul fondo
(particelle minerali e metalliche), da dove possono agevolmente essere eliminate.
La velocità di decantazione varia a seconda del tipo di impurità (più piccole,
più lenta la migrazione), delle dimensioni del recipiente di decantazione e
della viscosità del miele, che a sua volta dipende dal suo contenuto d'acqua e
dalla temperatura. A temperature di 25 - 30° C la decantazione avviene in
maniera relativamente veloce (da alcuni giorni a un paio di settimane) nella
maggior parte dei casi. La decantazione può diventare problematica nel caso di
mieli particolarmente viscosi (a basso contenuto d'acqua) o quando la
temperatura si abbassi o per mieli a rapida cristallizzazione: in questi casi è
necessario ricorrere a un leggero riscaldamento dell'ambiente di decantazione,
in modo che la temperatura del miele si mantenga vicino ai 30° C. La
decantazione può essere accelerata da particolari dispositivi (vasche di
decantazione) in cui il miele viene scaldato a temperature superiori e
costretto a seguire un percorso durante il quale le impurità vengono
progressivamente trattenute. La decantazione ha il vantaggio di eliminare anche
la schiuma e le bolle d'aria e, se si raccoglie la produzione in recipienti di
grosse dimensioni, di uniformarne le caratteristiche. Lo svantaggio principale
consiste nel costo degli idonei recipienti e nell'immobilizzazione del
prodotto. Contrariamente a quanto abitualmente si pensa, la sosta nel
maturatore non permette di ottenere, in genere, miglioramenti del contenuto
d'umidità. Alla superficie del miele si produce uno scambio di umidità con
l'ambiente, ma perché questo sia a favore del prodotto, e non a suo detrimento,
occorre che l'umidità relativa dell'aria sia inferiore a 60 %, cosa che si
verifica piuttosto raramente nei nostri climi, in ambienti non riscaldati o
condizionati artificialmente. Anche il movimento delle impurità e delle bolle
d'aria verso la superficie non viene modificato dalla presenza di un coperchio
o meno: per questo si consiglia sempre di provvedere alla chiusura, con un
opportuno coperchio a tenuta, del maturatore stesso.
La
filtrazione viene utilizzata in alternativa o in aggiunta alla decantazione
(rendendo quest'ultima più rapida) ma è anche il sistema più utilizzato per
purificare il miele negli impianti di trasformazione, dove non è pensabile
l'immobilizzazione del prodotto connessa con la decantazione. Le unità di
filtrazione sono costituite da semplici "filtri a sacco" in rete di
nylon o da dispositivi analoghi in rete metallica. La caratteristica comune
consiste nel fatto di avere un'ampia superficie di filtrazione e di poter essere
utilizzati in immersione, per evitare di inglobare aria e in modo che le
impurità, rimanendo in sospensione all'interno del sacco, ne ostruiranno i pori
in tempi molto più lunghi. I più comuni hanno pori del diametro di 0,1 - 0,2
mm. Per questo tipo di filtrazione è necessario che la temperatura del miele
sia attorno ai 30° C. Una filtrazione su dispositivi con porosità più piccola,
oltre a richiedere condizioni più energiche (temperature più elevate o
pressione), è vietata dalle legislazione europea, in quanto tratterrebbe anche
i granuli pollinici che vengono invece considerati parte del miele stesso e
renderebbe impossibile risalire all'origine geografica e botanica del miele
attraverso l'analisi microscopica. La normale filtrazione con filtro a sacco non
permette di eliminare le bolle d'aria (che devono comunque essere eliminate per
decantazione), né le piccole impurità minerali ("puntini neri") che
sono imputabili a carenze igieniche nelle prime fasi di lavorazione (melari
appoggiati per terra, materiali sporchi e impolverati ecc.) e che hanno
diametro inferiore alla porosità del filtro. Parlando pulizia del miele si può
aggiungere che, oltre a un idoneo sistema di eliminazione delle impurezze
"intrinseche" (cera e aria), l'apicoltore deve soprattutto curare di
non immetterne altre con operazioni inopportune o maldestre. Filtrazione e
decantazione possono (e lo sono spesso) essere utilizzati in successione.
Entrambi
questi processi di purificazione possono essere utilizzati solo per i mieli
liquidi: è per questo consigliabile attuarli immediatamente dopo l'estrazione,
quando il miele è naturalmente in questo stato e alla temperatura ideale per
attuarli in maniera rapida ed efficiente. Negli impianti di trasformazione è
spesso indispensabile procedere alla purificazione di mieli sporchi è già
cristallizzati. In questi casi si deve procedere ad una fusione completa del
prodotto: questa operazione, anche se condotta con le dovute precauzione,
comporterà comunque un deterioramento, per quanto ridotto, di alcune
caratteristiche del prodotto, oltre ad avere un costo non trascurabile.
Il miele
estratto e purificato è pronto per l'utilizzo. La tecnologia di preparazione
non si esaurisce però qui. Le altre tecniche sono connesse con la preparazione
di prodotti finiti di aspetto costante e gradevole, o con la prevenzione
dell'unico possibile inconveniente di conservazione, la fermentazione. Si può
però dire che il miele migliore, alla luce di quanto conosciamo sulla sua
composizione e di quanto giornalmente sperimentiamo sulle sue caratteristiche
organolettiche, è quello meno "manipolato" e più "fresco".
Questo non vuol dire condannare d'ufficio ogni tecnica di trasformazione o ogni
passaggio aggiuntivo tra il favo e la tavola del consumatore; significa invece
adottare una filosofia del "minimo danno" o del "miglior
compromesso" che ci permetta di dare al consumatore un miele che lo
soddisfi da tutti i punti di vista e che sia il più simile possibile al
prodotto che le api avevano immagazzinato nelle celle.
Per molte
delle tecniche descritte in seguito si rende necessario un riscaldamento del
prodotto, finalizzato alla diminuzione della viscosità, allo scioglimento dei
cristalli, alla concentrazione del prodotto, alla sua stabilizzazione microbiologica
o fisica. In ogni caso il calore, comunque applicato, ha un effetto negativo
sul miele, in termini di perdita di sostanze termolabili, proporzionale alla
temperatura raggiunta dal prodotto e al tempo. Il concetto di base è quindi di
limitare l'uso dei trattamenti termici alla temperatura più bassa e al tempo
più breve compatibile con l'obiettivo tecnico che si vuole raggiungere. La
particolarità del miele infatti risiede nel fatto che deve le sue
caratteristiche al nettare dei fiori che, grazie all'attività delle api, viene
reso disponibile al cunsumo umano. Il suo pregio consiste quindi non tanto
nella sua composizione principale, che è simile a quella di altri prodotti
zuccherini trasformati più economici (zuccheri diversi, melasse, marmellate), ma
nei componenti minori, derivanti direttamente dai fiori e dalle api, che gli
conferiscono caratteristiche (aroma, gusto e, probabilmente, proprietà
biologiche) diverse, e che sono purtroppo, termolabili e instabili nel tempo.
Questo concetto è alla base della definizione legale e dell'uso del miele in
Europa, che tende a distinguere e tutelare il miele rispetto agli altri
alimenti zuccherini, ma, nello stesso ne prescrive l'uso in uno stato in cui le
caratteristiche peculiari siano conservate al meglio (miele
"fresco"). Questa premessa è fondamentale per capire i principi che
regolano i processi di preparazione del miele per il consumo umano, altrimenti
certe precauzioni (relative al riscaldamento e alla conservazione) che vengono
suggerite sembrerebbero delle inutili complicazioni.
Il
riscaldamento del miele, alla luce di quanto detto sopra, deve essere
effettuato con determinate cautele. La sua ridotta conducibilità termica,
inoltre, si oppone ad un uniforme riscaldamento e l'uso di sorgenti di calore a
temperature elevate (fiamma o bagno maria bollente) provoca sempre
un'alterazione importante delle sue caratteristiche. Negli impianti moderni,
per il riscaldamento del miele necessario per diminuirne la viscosità e
facilitare così le operazioni che richiedono lo scorrimento del prodotto
(decantazione, filtrazione, pompaggio, miscelazione, invasettamento) e per la
fusione dei cristalli si usano quindi sistemi in cui la sorgente di calore è di
soli pochi gradi superiore alla temperatura alla quale si vuole portare il
miele. Per il riscaldamento e la fusione di miele contenuto in recipenti per
l'ingrosso si usano camere a circolazione d'aria calda o bagnomaria
termostatati a temperature comprese tra i 35 e i 50° C. I tempi di
riscaldamento e fusione sono in relazione al tipo di miele e alla capacità dei
recipienti utilizzati (vedi tab. 2). La fusione può essere completata in grandi
recipienti dotati di un sistema di riscaldamento (intercapedine o serpentina a
circolazione di acqua calda) e di uno di miscelazione (miscelatore a elica o
pompa a ricircolo) per facilitare lo scambio termico. In effetti negli impianti
di trasformazione il miele viene prima preriscaldato e parzialmente rifuso in
camera calda e quindi se ne completa la fusione nelle vasche di miscelazione.
Un notevole risparmio di tempo si può attuare, senza rischiare di surriscaldare
il miele, utilizzando camere calde termostatate a temperatura di 60 - 70° C in
cui i fusti di miele cristallizzato vengono messi aperti e rovesciati su
griglie o piani inclinati, in modo che il miele, non appena abbastanza fluido,
esce dai fusti e si raccoglie in una vasca di raccolta, dalla quale viene
pompato all'esterno, prima che raggiunga temperature elevate. Un'alternativa
per quantità più ridotte, è costituita da resistenze elettriche, delle
dimensioni dei fusti stessi, che penetrano nel miele solido, man mano che
questo si scioglie.
Tabella 2 Tempi di fusione in camera calda per un miele a
cristallizzazione fine, con tenore d'acqua pari a 17,5 % a seconda della capacità
dei recipienti e della temperatura dell'aria (Jeanne, 1985)
Capacità dei recipienti |
40° C |
45° C |
50° C |
20 kg |
24 ore |
18 ore |
16 ore |
50 kg |
48 ore |
36 ore |
24 ore |
80 kg |
108 ore |
72 ore |
60 ore |
300 kg |
- |
108 ore |
72 ore |
La
prevenzione della fermentazione presenta ulteriori problemi tecnologici. Questa
è l'unica alterazione microbiologica che il miele può subire ed è dovuta alla
presenza di lieviti che trovano nelle soluzioni zuccherine concentrate il loro
ambiente di sviluppo ideale (lieviti osmofili). Questi sono sempre presenti nel
miele, in quanto derivano dal nettare e, soprattutto, dall'interno
dell'alveare, ma provocano danni evidenti nel prodotto solo quando possono
moltiplicarsi e produrre così una fermentazione evidente del glucosio del
miele, con produzione di alcol, acidi e anidride carbonica che si sviluppa
sotto forma di gas. Non tutti i mieli sono ugualmente predisposti a sostenere
la moltiplicazione di questo tipo di microrganismi. Il contenuto d'acqua è il
parametro più importante: nei mieli che contengono meno del 18,0 % d'acqua la
fermentazione è improbabile (o addirittura impossibile al di sotto del 17,1 %).
Al di sopra di questo limite la fermentazione è tanto più probabile e tanto più
rapida quanto maggiore è il contenuto d'acqua e di come si combinano le altre
condizioni predisponenti (contenuto iniziale di lieviti, contenuto di sostanze
di crescita, temperatura, distribuzione e disponibilità dell'umidità contenuta,
in relazione alla cristallizzazione). La prevenzione della fermentazione può
essere attuata attraverso sistemi di conservazione (stoccaggio per tempi
ridotti o al freddo) ma soprattutto per mezzo di opportune tecniche di
produzione. Il primo metodo consiste nell'attuare tutte le precauzioni
possibili per cercare di estrarre solo mieli con un contenuto d'acqua inferiore
al 18,0 %. Se questo non è possibile esistono varie tecniche per ridurre il
contenuto d'acqua dei mieli troppo umidi per mezzo di un'evaporazione forzata.
Sono di più facile realizzazione sul miele ancora contenuto nei favi, quando il
rapporto superficie/massa è favorevole ad uno scambio rapido di umidità con
l'ambiente circostante. Buoni risultati si ottengono facendo circolare tra i
favi contenuti nei melari una corrente di aria calda (a temperatura non
superiore a 35° C) prodotta con un opportuno sistema (caldaia, ventilatore e
termostato). In 24 ore si hanno diminuzioni di umidità dell'1 - 3 %.
Indispensabile è lo smaltimento dell'aria carica di umidità che esce dalla pila
di melari sottoposti al procedimento, con un opportuno sistema di aspirazione.
Analoghi risultati possono essere ottenuti con macchine deumidificatrici (che
sottraggono umidità dall'ambiente). In questo caso i melari devono essere posti
in un ambiente ridotto e isolato dall'aria esterna, perché il processo di
deumidificazione si svolga a carico del miele e non dell'ambiente esterno.
Entrambi i sistemi possono essere adattati alla concentrazione del miele già
estratto dai favi: in questo caso si deve costruire una struttura che permetta
di esporre adeguatamente il miele alla corrente d'aria calda (che può essere
più calda delle temperature imposte al trattamento del miele in favo) o
all'ambiente secco generato dal deumidificatore. Il miele, per esempio, può essere
fatto scorrere su un piano inclinato, o fatto cadere in sottili rivoli o
distribuito sulla superficie di dischi rotanti o continuamente rimescolato.
Ultima alternativa, di tipo industriale, l'utilizzo di impianti di
concentrazione sottovuoto, adattati da quelli di comune uso nell'industria
conserviera per i succhi vegetali (succhi di frutta, concentrato di pomodoro,
confetture), che possono operare in maniera estremamente efficiente a
temperature inferiori a 45° C. I mieli concentrati con questi sistemi, se ben
usati per prodotti in cui il processo di fermentazione non sia ancora
cominciato, non subiscono degradazioni consistenti.
L'altra
famiglia di sistemi di prevenzione della fermentazione si basa
sull'inattivazione dei lieviti. L'inattivazione dei lieviti viene fatta con il
calore (pastorizzazione): per distruggere i lieviti osmofili è necessario un
riscaldamento a 60 - 65° mantenuto per qualche minuto. Simili condizioni di
trattamento possono essere attuate solo con sistemi industriali che permettono
un rapido scambio termico in modo da mantenere il miele a temperatura elevata
solo per il tempo strettamente indispensabile (scambiatori di calore in strato
sottile, a tubi o a piastre). Generalmente questi processi di pastorizzazione
vengono attuati con il duplice scopo di prevenire la fermentazione e di
favorire la conservazione del miele allo stato liquido: in questo caso, il
trattamento viene attuato alla temperatura di 77 - 78° C per 5 - 7 minuti,
immediatamente prima dell'invasettamento.
Una volta
che la fermentazione abbia prodotto dei danni evidenti nel miele, non è più
possibile rimediare e recuperare il prodotto a una qualità accettabile. Il
miele fermentato non può essere commercializzato per l'uso diretto (come miele
da tavola), non tanto perché sussistano dei problemi di tipo sanitario, quanto
perché si tratta di un prodotto degradato, instabile e quindi di qualità
inferiore. Ne è permesso invece l'utilizzazione industriale ("miele per
industria" o "miele per pasticceria"), in prodotti trasformati:
in realtà sono ben poche le aziende alimentari che accettano un tal tipo di
prodotto. Risulta quindi indispensabile individuare i prodotti predisposti alla
fermentazione (con la misura del contenuto di umidità) precocemente e operare
con uno dei sistemi sopra descritti prima che le alterazioni abbiano luogo.
La
preparazione del miele per il mercato deve confrontarsi con la tendenza
naturale di molti mieli a cristallizzare. A livello commerciale i produttori affrontano
il problema in diverse maniere. Se l'aspetto del miele non rappresenta un
fattore limitante, non viene preso nessun provvedimento particolare e il miele
viene commercializzato così come spontaneamente si trova. E' comunque utile
cercare di evitare che il prodotto subisca delle trasformazioni evidenti
durante il periodo di commercializzazione (per esempio che cristallizzi durante
la commercializzazione), in quanto ogni cambiamento viene visto dal consumatore
con sospetto; inoltre si compie al di fuori del controllo del produttore. Per
altri mercati il miele viene rigorosamente presentato allo stato liquido e, per
questo, risulta spesso necessario rifonderlo o trattarlo per prevenire la
cristallizzazione. In alternativa, si cerca di accelerare la cristallizzazione
per poterlo presentare in modo costante e con caratteristiche gradevoli sia per
l'aspetto che per l'utilizzo.
Alcuni
mieli si mantengono naturalmente liquidi per molto tempo, per esempio se il
loro contenuto di glucosio è naturalmente basso (miele di robinia, di castagno,
melata di abete) o se il contenuto d'acqua è elevato o se vengono conservati
costantemente a temperature superiori ai 25° C. Queste ultime due condizioni
sono però in contrasto con una buona conservazione del prodotto e non sono
quindi utilizzabili per prolungare il tempo di vita allo stato liquido.
Tra le
soluzioni comunemente adottate per commercializzare allo stato liquido mieli
che siano cristallizzati, quella di rifonderli completamente (a 40 - 50° C)
poco prima della vendita è tra le più adottate. La fusione può essere fatta
prima o dopo l'invasettamento, ma la seconda soluzione è, agli effetti dei
risultati, molto più efficace, in quanto è più facile controllare che la
fusione sia stata completa e viene escluso il rischio di ri-innescare
precocemente la cristallizzazione con le manipolazioni del prodotto successive
alla fusione. Il mantenimento dello stato liquido, dopo una rifusione di tal
tipo, è variabile a seconda delle caratteristiche del miele e della temperatura
di conservazione. Per i mieli che abbiano poco glucosio (rapporto glucosio
acqua inferiore a 1,8) la durata è soddisfacente. Per i mieli con più forte
tenore in glucosio, il tempo di vita è proporzionalmente più breve. E' da
evitare una ulteriore rifusione, anche perché i grossi cristalli che si formano
nei mieli riscaldati richiedono una maggiore quantità di calore per la
rifusione completa. A livello di degradazione del prodotto un riscaldamento a
40° C per un giorno con finalità di fusione è molto meno grave di una
conservazione prolungata per mesi a temperature che inibiscano la
cristallizzazione (superiori a 25° C).
A livello
industriale vengono utilizzate tecniche di preparazione più complesse, che
oltre a sciogliere i cristalli presenti, ritardano la ricristallizzazione e
possono per questo essere utilizzate anche per mieli con un contenuto medio di
glucosio. In primo luogo i mieli vengono selezionati e miscelati per ottenere
prodotti con caratteristiche costanti e con tenore in glucosio non eccessivo.
vengono esclusi mieli quali la colza, il girasole e i mieli di Composite in
genere; Gonnet (1977) consiglia di adottare questo sistema solo per i mieli che
abbiano un contenuto di glucosio inferiore a 35 % e un rapporto glucosio/acqua
inferiore a 2. Il miele viene parzialmente fuso in camera calda, trasferito in
vasca riscaldata dove viene miscelato e fuso pressoché totalmente, quindi
filtrato e successivamente sottoposto ad un breve riscaldamento a temperatura
elevata (pastorizzazione a 78° C per 5 - 7 minuti) con uno scambiatore a strato
sottile. Questo, assieme al successivo, è il passaggio chiave del trattamento,
in quanto il riscaldamento a temperatura elevata, oltre a distruggere i lieviti
presenti, scioglie anche i microcristalli di glucosio che potrebbero, in
seguito, ri-innescare la cristallizzazione. Prima del raffreddamento il miele
caldo può essere filtrato in maniera più o meno "spinta". Una
filtrazione che elimini tutte le particelle solide microscopiche contenute nel
miele è vietata nei Paesi europei, in quanto si ritiene che questo tolga al
miele una parte delle sostanze che ne determinano il pregio e perché impedisce,
di fatto, il controllo dell'origine geografica e botanica del miele, attuabile
attraverso l'identificazione degli elementi microscopici in esso naturalmente
contenuti. E' invece abitualmente utilizzata negli USA, in quanto conferisce al
miele da commercializzarsi liquido una maggiore limpidità e brillantezza e
contribuisce a prevenirne la cristallizzazione. Viene attuata sotto pressione,
con filtri a cartuccia o, dove questo è permesso, con filtri a cartoni o filtri
pressa, eventualmente con l'uso di un adiuvante di filtrazione. Un passaggio in
una stazione di disaereazione sottovuoto contribuisce a prevenire i rischi di
ricristallizzazione, oltre a eliminare la formazione dell'antiestetico colletto
di schiuma nel prodotto invasettato. In seguito il miele viene raffreddato alla
temperatura di invasettamento (57° C secondo la "scuola " americana,
Townsend, 1975, 35° C secondo quella europea, Gonnet, 1977), sempre per mezzo
di scambiatori di calore a strato sottile e invasettato, in vasi lavati o
puliti a secco. Un ulteriore passaggio che, secondo alcuni autori americani,
contribuirebbe a prolungare la vita allo stato liquido è costituito da un
raffreddamento rapido del prodotto invasettato e una conservazione di questo
per 5 settimane a 0° C, prima dell'immissione sul normale circuito commerciale.
Anche con questo tipo di trattamento i risultati sono variabili, in termini di
conservazione allo stato liquido, ma più costanti e prolungati. Il passaggio
critico del processo è rappresentato dalle fasi che seguono la pastorizzazione:
tutti i movimenti (miscelazioni, turbolenze, scorrimenti, vibrazioni) o
disturbi (attriti nell'invasettatrice, inglobamento d'aria, polvere dei vasi)
che il prodotto liquido subisce tendono a ri-innnescare la cristallizzazione.
La
preparazione per il mercato di mieli con contenuto di glucosio
"normale" che si mantengano liquidi a lungo comporta sempre passaggi
di riscaldamento che contrastano con la filosofia del prodotto
"fresco". Il prodotto liquido e limpido ha d'altra parte
un'attrattiva estetica e una praticità d'uso che sono difficilmente negabili:
di qui il compromesso tra aspetto e gusto, tra praticità e composizione. I
processi sopra descritti devono essere applicati in maniera rigorosa solo su
prodotti che presentino dei valori di composizione ottimali, pena il rischio di
ritrovarsi con miele fortemente degradato e al di fuori dei limiti prescritti
per il miele da tavola. Se le tecniche sono ben applicate, invece, le
trasformazioni rimangono largamente entro il consentito.
In
alternativa al miele liquido sono state sviluppate delle tecniche che permettono
di guidare la naturale tendenza a cristallizzare del miele verso prodotti
finiti completamente cristallizzati, stabili, omogenei, di aspetto gradevole,
di consistenza cremosa e graditi al consumatore. Il maggior interesse di questo
tipo di tecniche risiede nel fatto che i trattamenti che si rendono necessari
per ottenere dei prodotti soddisfacenti non richiedono, contrariamente a quanto
avviene per i mieli liquidi, trattamenti che contrastano con il mantenimento
delle caratteristiche ottimali del miele. Su piccola scala possono essere
ottenuti anche con attrezzature semplici, la cui complessità aumenta in
relazione alle quantità di prodotto da trattare.
Il
principio di base consiste nell'accelerare la cristallizzazione spontanea
aggiungendo una piccola quantità di miele già cristallizzato, con la finalità
di ottenere rapidamente un prodotto a cristallizzazione fine. Può essere
adottata per tutti i mieli in cui si osserva una tendenza spontanea a
cristallizzare anche in maniera incompleta. La tecnica più semplice consiste
nel miscelare il miele liquido (ancora naturalmente liquido o liquefatto) con
miele completamente cristallizzato, a cristallo fine, nella proporzione di 9 a
1. La miscela deve essere fatta a una temperatura che permetta una agevole miscelazione,
senza incorporazione di bolle d'aria e che, nello stesso tempo, non sia troppo
elevata in modo da non sciogliere i cristalli immessi. In pratica si opera tra
i 24 e i 28° C. Il miele viene quindi invasettato, eventualmente dopo una
decantazione di alcune ore per eliminare le bolle d'aria incorporate. I vasi
devono poi essere messi a temperatura di 14° C (o temperature il più vicino
possibile a questo valore). Nel giro di pochi giorni la cristallizzazione si
completa, fornendo miele a cristallizzazione fine, con una consistenza più o
meno compatta a seconda del contenuto d'acqua. L'inconveniente maggiore di
questo tipo di tecnica consiste nell'eccessiva compattezza che i mieli a bassa
umidità assumono, dovuta alla formazione di cristalli trasversali, che danno al
miele la struttura di un solido. Un ulteriore problema si sviluppa in
concomitanza di questo tipo di struttura: la formazione di affioramenti
biancastri, in superficie e in corrispondenza di bolle d'aria inglobate, dovuta
all'evaporazione superficiale dell'acqua e all'essiccamento dei cristalli di
glucosio, che appaiono così bianchi. Questo è un difetto puramente estetico, ma
grave in quanto pregiudica l'accettabilità da parte del consumatore. Per
evitare questo problema occorre adottare dei procedimenti che permettano di
separare i cristalli uno dall'altro e dare così al miele completamente
cristallizzato una consistenza cremosa.
Una delle
tecniche adottate per ottenere un prodotto cremoso consiste nell'operare in due
fasi distinte. Nella prima fase si produce una cristallizzazione guidata nelle
condizioni sopra descritte; il miele inseminato viene quindi lasciato
cristallizzare in recipienti di grande capacità (25 - 300 kg) alla temperatura
di 14 ° C. Al momento dell'invasettamento i fusti vengono portati in camera
calda a temperatura di 28 - 30° C fino a parziale ammollamento del miele (senza
fusione), che viene quindi passato in un omogeneizzatore, che separa i
cristalli e quindi invasettato (Gonnet, 1985 e 1986). In alternativa anche il semplice
passaggio nella camera calda e all'invasettatrice può dare risultati
soddisfacenti, essendo sufficiente questo movimento del miele reso pastoso a
separarne definitivamente i cristalli. Il punto critico della tecnica consiste
nelle temperature di ammollamento e omogeneizzazione che devono sempre restare
inferiori a quelle indicate per non produrre una fusione dei cristalli che
renderebbe il processo del tutto inutile.
Un'altra
tecnica adottabile consiste nel mantenere in miscelazione il miele, dopo
inseminazione, a temperature in cui la formazione dei cristalli sia possibile
(attorno ai 20° C o inferiore). L'agitazione accelera moltissimo la formazione
di cristalli e in 2 - 3 giorni la cristallizzazione si completa e il miele può
essere invasettato, eventualmente rialzando la temperatura di qualche grado,
per facilitare lo scorrimento. La difficoltà di questa tecnica risiede
nell'agitazione di una massa di miele freddo e quindi molto viscoso, che oltre
a richiedere una notevole forza meccanica, rischia di inglobare aria e quindi
di produrre schiuma. Bisogna quindi operare con sistemi sufficientemente
potenti, con eliche che restino completamente immerse nel miele e che ruotino a
velocità limitata (pochi giri al minuto). Per piccole quantità, non superiori a
100 kg per volta, è possibile operare in maniera manuale, miscelando il miele
una o due volte al giorno, con una lunga spatola di legno. Oltre alle vasche di
miscelazione di costruzione standard (possono essere le stesse che si usano per
scaldare il miele, con un sistema di circolazione di acqua fredda invece che
calda) vengono usati nei grandi impianti sistemi chiusi di refrigerazione a
lame raschianti, in cui la miscela di miele che si sta raffreddando viene
raschiata dalla superficie fredda, rendendo il processo di cristallizzazione
più efficiente e rapido.
I mieli
prodotti con questi sistemi hanno sempre una consistenza cremosa, più o meno
scorrevole a seconda del contenuto d'acqua, molto gradita al consumatore. Il
principale inconveniente consiste nella loro instabilità al caldo: conservati a
temperature superiori ai 20° C per periodi prolungati i cristalli tendono a
precipitare sul fondo, lasciando in superficie uno strato di liquido più o meno
spesso (separazione di fasi). Questo inconveniente è particolarmente grave nei
mieli con umidità maggiore.
Un problema
comune a tutti questi processi è la scelta del miele da utilizzarsi come seme,
che deve essere a cristallizzazione fine. In alcuni casi viene consigliato di
passarlo attraverso un trituratore (tritacarne) per ridurlo a consistenza
pastosa e affinarne i cristalli. Può essere utile, nel caso non si disponga di
miele da utilizzarsi come seme, procedere a una doppia (o tripla
inseminazione). Si insemina cioé una piccola quantità di miele liquido con
miele cremoso acquistato sul mercato o ottenuto macinando in un mortaio o in
tritacarne miele con cristallo grosso. Dopo cristallizzazione (10 giorni a 14°
C) si usa questo miele cristallizzato per inseminare la partita definitiva o
per produrre una maggior quantità di semenza (1 kg di seme per 9 kg di miele
liquido; con i 10 kg di miele ottenuto se ne inseminano 90 e così via). Per i
produttori è possibile risolvere il problema della semenza innescando la
cristallizzazione con i cristalli che iniziano a formarsi naturalmente, poco
dopo la smelatura, nel miele stesso: l'estrema semplificazione della tecnica di
cristallizzazione guidata consiste nel lasciar raffreddare il miele, nel
maturatore, dopo decantazione e schiumatura, a una temperatura di poco
inferiore a 20° e procedere quindi a una agitazione (con un'elica azionata da
un motore, o anche con una pompa, o con una spatola, per piccole quantità),
continuando (o ripetendo l'operazione, per i sistemi manuali) fino a che il
prodotto non sarà pronto da invasettare (alcuni giorni).
L'altro
problema consiste nella manipolazione di miele relativamente freddo e quindi
viscoso, che richiede un maggior dimensionamento della forza delle pompe, dei
miscelatori, delle invasettatrici per evitare l'inglobamento d'aria. L'energia
e le strutture necessarie all'ottenimento delle temperature fresche richieste
per il trattamento e lo stoccaggio sono un altro problema limitante. Se i mieli
da trattare hanno un contenuto di umidità che può permettere lo sviluppo di
lieviti, ai processi di cristallizzazione guidata deve essere anteposta una
pastorizzazione di conservazione (a 65° C per 5 - 10 minuti); in questo caso
anche la semenza deve essere priva di lieviti.
In pratica
la scelta delle tecniche da adottare per la preparazione del miele
cristallizzato deve essere fatta in base a molteplici considerazioni relative
al mercato (reale e potenziale), alle possibilità tecniche e ai costi di
realizzazione e alle caratteristiche dei mieli da trattare. Per esempio, per molti
mieli delle zone montane, a base di castagno, con contenuto d'acqua medio del
18 %, in cui il problema principale è rappresentato da una cristallizzazione
lenta, a cristalli grossi, spesso incompleta, a volte seguita da una
separazione di fasi, un sistema di cristallizzazione guidata semplice, sembra
essere il sistema più conveniente: si ottengono così prodotti a
cristallizzazione fine, sufficientemente stabili e di giusta consistenza.
Quando il problema abituale, sui prodotti spontanei, è invece l'eccessiva
compattezza, che presentano inoltre gli affioramenti bianchi sopra descritti,
bisogna optare per un sistema di produzione del miele cremoso, ricordando però
che il prodotto che si presenta adeguatamente spalmabile e omogeneo alle
temperature invernali, dovrà essere conservato in un magazzino fresco in
estate.
Il miele,
comunque trattato, viene quindi invasettato nelle confezioni definitive
destinate al consumatore. Queste possono essere di varia foggia e capacità: il
materiale di gran lunga più diffuso oggi in Italia è il vetro. Abbastanza
comuni anche le confezioni in plastica, mentre il metallo rivestito di
materiali adatti al contatto con alimenti (plastica o vernice vetrificata) e il
cartone paraffinato sono oggi praticamente scomparsi. In ogni caso i recipienti
utilizzati devono avere un sistema di chiusura ermetico, che isoli totalmente
il miele dall'aria degli ambienti di magazzinaggio e i materiali utilizzati
devono, ovviamente, essere idonei al contatto con gli alimenti. Il vaso di
vetro con la capsula twist-off dà le migliori garanzie di tenuta, seguito dagli
altri sistemi di chiusura e dai vasi di plastica in genere. I vasi in cartone
paraffinato sono stati abbandonati quasi ovunque proprio perché scarsamente
affidabili. Il miele si presta anche a essere confezionato in maniera specifica
per usi particolari per esempio in vasi in ceramica per confezioni regalo, in
tubetti di plastica, alluminio o accoppiato per l'uso all'aria aperta
(sportivi, escursionisti), o per bambini (confezioni in plastica morbida a
forma di animali). Sono attualmente abbastanza diffuse le monoporzioni: a parte
i vasetti in vetro mignon (da 30 o 40 g), che si prestano anche al
confezionamento manuale, gli altri tipi di monoporzioni (vaschette termoformate,
bustine) richiedono attrezzature specifiche non alla portata di piccole aziende
apistiche.
Il sistema
di dosaggio può essere manuale (con i rubinetti a taglio dei quali sono dotati
comunemente i maturatori e una bilancia per il controllo del peso) o più o meno
automatizzato. Anche in questa fase bisogna porre attenzione affinché il miele
non inglobi aria, che potrebbe essere aspirata dalla dosatrice. Ovviamente non
dovranno esserci tracce di prodotto sul bordo del vaso, che, oltre a
pregiudicare la tenuta del vaso stesso, si trasformerebbero, a contatto con
l'aria e con la capsula metallica, in antiestetici residui nerastri.
Si deve
verificare che i vasi utilizzati siano sufficientemente puliti e privi di
polvere, provvedendo di conseguenza in caso contrario. Anche per le capsule
occorre prestare la medesima attenzione. Inoltre bisogna ricordare che la
sottile guarnizione delle capsule assorbe molto facilemente gli odori: non di
rado capita di aprire un vaso di miele e sentire odore di detersivo, cosmetici,
medicinali, oli essenziali o alimenti diversi, imputabili a uno stoccaggio
delle capsule nuove vicino a questi materiali o al riciclaggio delle capsule
stesse.
La
presentazione del prodotto finito deve tener conto, oltre che degli aspetti
tecnici, dei quali ci siamo fino a qui occupati, e commerciali, di una serie di
obblighi legali, relativi alla presentazione del prodotto (etichettatura), dei
quali chi confeziona deve prendere conoscenza.
A livello
di conservazione il miele viene considerato un prodotto stabile: questo è vero
in quanto non è attaccato dai normali microrganismi responsabili delle
alterazioni degli alimenti (batteri e muffe). Può però essere soggetto alla
fermentazione sostenuta dai lieviti osmofili, quando il suo contenuto d'acqua
risulta superiore al 18 %. Le tecniche più in uso per prevenire la
fermentazione si basano, come abbiamo già detto, sull'inattivazione dei lieviti
con il calore (pastorizzazione) o sulla concentrazione del prodotto per
evaporazione al di sotto del limite di fermentescibilità. In alternativa può
essere utilizzata una conservazione a temperature fredde (5 ° C); questa
tecnica, dati i costi energetici richiesti, non è molto utilizzata, ma è la
soluzione ottimale in alcune situazioni particolari (per esempio per mieli
pregiati in attesa di un'ulteriore trasformazione o lavorazione). Visto che
comunque la fermentazione del miele si sviluppa con una certa lentezza,
confrontata con le fermentazioni più note (pane e vino), l'apicoltore può considerare
un sistema di prevenzione della fermentazione anche il rapido consumo del
prodotto predisposto o la sua cessione a un utilizzatore industriale.
Anche i
mieli che non sono attaccabili dai lieviti osmofili sono però soggetti ad
alterazioni progressive di origine chimica e enzimatica. Queste trasformazioni
determinano un cambiamento delle caratteristiche organolettiche del prodotto
(aumento del colore, perdita e trasformazione delle sostanze volatili
responsabili dell'aroma, formazione di composti dal gusto amaro), una perdita
di attività delle sostanze biologicamente attive (inattivazione degli enzimi),
un sostanziale cambiamento della composizione zuccherina (aumento dei
disaccaridi e di altri zuccheri complessi a spese degli zuccheri semplici) ed
altre trasformazioni della composizione iniziale (aumento dell'acidità,
formazione di idrossimetilfurfurale). Questi cambiamenti avvengono in tutti i
mieli, ma a velocità diverse a seconda della loro composizione iniziale (un
contenuto d'acqua maggiore e un pH più basso determinano una maggiore velocità
di trasformazione) e delle temperature di stoccaggio (più elevate, più rapidi).
Le stesse alterazioni hanno luogo in maniera ancora più rapida a seguito dei
trattamenti termici applicati a fini tecnologici. Il miele anche molto
degradato non diventa mai dannoso per la salute umana, ma è senza dubbio un
prodotto di minor valore alimentare. La normativa europea pone dei limiti al
grado di invecchiamento dei mieli per uso alimentare diretto, utilizzando come
parametri di misura il contenuto di un enzima (diastasi o amilasi) che si perde
con il tempo, e il contenuto di idrossimetilfurfurale (HMF), prodotto di
degradazione del fruttosio che invece aumenta. Pur non potendo indicare in
maniera precisa un limite unico di conservabilità del miele, a causa delle
numerose variabili che si sovrappongono nel determinarlo, utili indicazioni
potranno essere ricavate dalla tabella 3 in cui si evidenzia il rapporto tra
temperatura (di stoccaggio o di trattamento) e uno dei parametri di
invecchiamento (diastasi). Utilizzando i dati di questa tabella si può
immaginare che un ipotetico miele con un contenuto di diastasi inziale di 16
unità non sarà più commercializzabile in Europa, dove il limite di composizione
per questo parametro è di 8 unità minime, dopo 34 anni, se conservato a 10° C,
dopo 4, se conservato a 20° C, ma dopo soli 18 mesi a 25° C, 7 mesi a 30° C, o
4 a 32° C. Da queste osservazioni risulta chiaro che la temperatura ideale di
conservazione del miele per gli aspetti di conservazione è quella più bassa
possibile. Considerati i normali tempi di smaltimento delle produzioni una
temperatura dei magazzini di stoccaggio attorno ai 20° C e comunque inferiore a
25° C risulta sufficiente ad assicurare una durata soddisfacente. Nei climi
caldi è quindi necessario che i magazzini siano sufficientemente coibentati
(per esempio interrati) ed eventualmente condizionati alle temperature
indicate. E' inoltre indispensabile assicurare che durante le fasi di
produzione e trasporto il miele non si surriscaldi eccessivamente, evitando le
lunghe permanenze all'aperto in pieno sole.
Tabella 3. Tempi di dimezzamento della diastasi a seconda
delle temperature di conservazione o di trattamento (White et al., 1964)
Temperatura °C |
Tempo di dimezzamento dell diastasi |
10 |
12600 giorni (34.5 anni) |
20 |
1480 giorni (4 anni) |
25 |
540 giorni (18 mesi) |
30 |
200 giorni (6.6 mesi) |
32 |
126 giorni (4.2 mesi) |
35 |
78 giorni (2.6 mesi) |
40 |
31 giorni |
50 |
5.38 giorni |
60 |
1.05 giorni |
63 |
16.2 ore |
70 |
5.3 ore |
71 |
4.5 ore |
80 |
1.2 ore |
Considerando
anche gli aspetti di presentazione del prodotto dobbiamo ricordare che per i
mieli da presentarsi liquidi la cristallizzazione è inibita sotto ai 5° o sopra
ai 25° C, mentre per i mieli in via di cristallizzazione o già pronti per il
mercato le temperature di 14° - 20° C risultano le più idonee a una rapida
cristallizzazione e a una conservazione stabile. Possiamo perciò indicare come
temperature ideali per lo stoccaggio di mieli in attesa di lavorazione o già
invasettati allo stato cristallizzato quelle di 14 - 20° C; per i mieli liquidi
dopo l'invasettamento, la temperatura di frigorifero, 0 - 5° C, sarebbe la
migliore o, come seconda alternativa e solo per periodi brevi, si può suggerire
la conservazione a 25° C.
Anche la
luce solare provoca delle trasformazioni negative sul miele, soprattutto
sull'enzima che è responsabile dell'attività antibiotica (glucoso ossidasi).
L'esposizione al sole deve essere quindi limitata, soprattutto per l'effetto
sull'aumento di temperatura che provoca anche sui recipienti non trasparenti.
Un confezionamento in recipienti non trasparenti non è in genere necessaria e
inoltre contrasterebbe con le necessità commerciali.
Particolare
importanza deve essere data alla protezione dall'umidità ambientale per mezzo
di un adeguato confezionamento ermetico e mantenendo l'umidità dei magazzini di
stoccaggio al di sotto del 60 % di umidità relativa. In caso contrario il miele
può riumidificarsi fino a permettere lo sviluppo di lieviti osmofili e fermentare.
Riguardo ai
recipienti per lo stoccaggio all'ingrosso si può suggerire che devono,
ovviamente, essere in materiali idonei al contatto con gli alimenti,
generalmente in metallo rivestito con smalti o materiali plastici, non devono
avere parti di metallo a contatto con il miele, non devono cedere odori e
devono avere un sistema di apertura a tenuta che permetta il completo
svuotamento anche dei mieli cristallizzati.
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