La disponibilità di polline riduce significativamente diversi degli aspetti negativi legati alla parassitizzazione da varroa
Uno studio italo canadese mostra che la disponibilità di polline riduce significativamente diversi degli aspetti negativi legati alla parassitizzazione da varroa concedendo ai virus ad essa correlati una diffusione significativamente inferiore e da ciò una aspettativa di vita più lunga all’ape
Si vorrebbe presentare un lavoro di ricerca in gran parte italiano (Elucidating the mechanisms underlying the beneficial health effects of dietary pollen on honey bees infested by Varroa mite ectoparasites
Desiderato Annoscia, Virginia Zanni, David Galbraith, Anna Quirici, Christina Grozinger, Renzo Bortolomeazzi & Francesco Nazzi
Scientific Reports · July 2017 )
che valuta la possibilità che la disponibilità di polline possa esercitare effetti benèfici relativamente all’incidenza di V. destructor e virus vari . Riscontrati gli effetti positivi gli autori sono passati al chiedersi quali componenti del polline possano essere responsabili di detti effetti benèfici e in che modo. Da ultimo, per tanto, è stata realizzata una analisi del trascrittoma di api sottoposte a dieta carente di polline e di api a dieta con buona disponibilità di polline allo scopo di capire i meccanismi molecolari collegati al differente tipo di alimentazione
Nella pubblicazione viene scritto che :
la scoperta delle capacità di aumedicazione degli animali sta producendo crescente interesse nel mondo della scienza. Se d’acchito questo fenomeno può apparire una mera curiosità, ad una più profonda analisi si osserva che queste capacità hanno profonde implicazioni sulla interazione parassita-ospite determinando in parte (questa interazione ) gli effetti di trasmissione ed evoluzione della virulenza dei patogeni oltre che l’efficacia della difesa dell’ospite. Viene anche suggerito ( dagli studi finora realizzati ) che l’interferenza prodotta dagli esseri umani sulla capacità degli animali di automedicarsi può aumentare il rischio nelle specie addomesticate e gestite, così come ci può essere aumento dei rischi prodotti dai patogeni nei sistemi agricoli (che costringono a ristrettezza nella scelta prima di tutto qualitativa delle risorse potenzialmente frmacologiche; in pratica la farmacia è quasi vuota e veramente poco idonea …….. ). Tra gli animali “ farmacisti “ l’ape sembra occupare a pieno titolo una posizione importante, essendovi crescenti documentazioni sulle sue capacità di utilizzare piante dotate di capacità antibiotiche .
La dieta delle api consiste di nettare e polline [ non è ancora chiaro se le api mangiano propoli o ingredienti alla base del propoli. A parere dello scrivente redattore vi è una quantità di motivi per i quali sarebbe molto sensato se lo facessero ndr ]. In conseguenza della sua composizione ricca in zuccheri il nettare risulta la maggior fonte di energia per le api mentre il polline risulta pressoche unica fonte di proteine e lipidi (10–40% e 1–13% di peso secco rispettivamente risulta la presenza di questi elementi), oltre a componenti che sono stati spesso in passato definiti minori ovvero vitamine , polifenoli [con questi ultimi che trovano enorme significato clinico nella medicina più moderna ] e polisaccaridi [ che stanno mostrando non poche capacità antivirali e prebiotiche ndr ].
Precedenti studi hanno mostrato che la quantità presente e la diversità della struttura delle proteine contenute nel polline influenzano il livello di competenza immunitaria delle api (inteso come concentrazione di emociti nell’emolinfa, contenuto dei corpi grassi, attività di fenolossidasi e glucosio ossidasi )
Questo lavoro di Annoscia e colleghi ha potuto confermare che in api sottoposte a parassitizzazione da varroa la possibilità di disporre di polline aumenta significativamente l’aspettativa di vita delle stesse. Per determinarlo ad otto famiglie test, a parità di infestazione di varroa e di quantità di popolazione, sono state in tarda estate completamente rimosse le scorte di polline. Successivamente, nel breve periodo, a quattro delle famiglie test sono stati elargiti 50 g di polline la settimana per un mese. Nulla è stato dato alle altre famiglie dette di controllo. Alla fine di settembre, nonostante un trattamento chimico fatto allo scopo di ridurre la presenza numerica di Varroa, due delle quattro famiglie di controllo e che non avevano ricevuto polline erano morte mentre tutte e quattro quelle che avevano ricevuto polline risultavano sopravvissute. Alla fine di novembre tutte le famiglie che non avevano ricevuto polline erano morte mentre due di quelle che avevano ricevuto polline risultavano sopravvissute. Per mezzo di uno specifico esperimento con api in gabbietta sottoposte a dieta con polline frazionato si è potuto capire che l ’effetto “ antivarroa/antivirale “, determinato dal polline sulla sopravvivenza delle api, sembra derivare dai componenti cosiddetti apolari del polline , ovvero componenti in gran parte lipidici, che nel polline utilizzato rappresentavano il 3.9 ± 0.2% del peso a secco del polline (utilizzato ) .
La presenza di acidi grassi in detti lipidi è così risultata dal punto di vista qualitativo: capric acid (C10:0), lauric acid (C12:0), myristic acid (C14:0), palmitic acid (C16:0), palmitoleic acid (C16:1n-7), stearic acid (C18:0), oleic acid (C18:1n-9), linoleic acid (C18:2n-6), linolenic acid (C18:3n-3), arachidic acid (C20:0), eicosenoic acid (C20:1n-9), behenic acid (C22:0) and lignoceric acid (C24:0).
I principali acidi grassi rinvenuti sono stati : palmitic acid (28%), linolenic acid (23%), myristic acid (15%), linoleic acid (14%) and oleic acid (12%).
I principali steroli rinvenuti nel polline dell’esperimento sono risultati : ?5-avenasterol (31.1%), ß-sitosterol (27.7%), 24-methylenecholesterol (15.2%), stigmasterol (7.9%), campesterol (5.4%), cholesta-5,24-diene-3-ol (4.8%) e cholesterol (3.9%) .
Qualsiasi dieta venga assunta da un essere vivente, essa va a determinare una specifica espressione genica [ anche conseguente ad uno specifico multibioma ndt ] . Nel caso specifico è stata possibile la valutazione dei geni espressi in maniera differente in conseguenza della assenza o presenza di polline .
In particolare, ingerendo polline, l’ape risulta avere una maggiore attività relativamente al metabolismo dei lipidi, potenzialmente coinvolti nella formazione della cuticola .
Oltre ad una “ armatura esterna “ più consistente, nelle api che ingeriscono polline si è verificata una maggiore attivazione di geni che in altri studi sono stati collegati a risposta immunitaria e stress , supportando l’ipotesi che una dieta contente polline sia critica per il poter provvedere all’organismo l’ energia e le materie prime necessarie alla espressione di risposte immunitarie adeguate a fronteggiare la parassitizzazione e il carico di microbi ,soprattutto virus , che ad essa è associato.
Molto interessante in questo senso la valutazione della presenza virale nelle api in studio a seconda della composizione della dieta. In api non infestate da varroa la presenza degli undici più comuni virus delle api risulta nello 0.1% qualsivoglia sia la composizione della dieta. In api parassitizzate da varroa la proporzione diviene molto più alta, ovvero 45% in api infestate se alimentate con solo zucchero, ma 21% in api infestate alimentate con dieta ricca di polline [ se appare evidente che il contatto con Varroa porta ad una autentica esplosione della presenza virale -450 volte maggiore - è pur vero che la presenza di polline nella dieta la dimezza . Ciò porta a sostenere l’importanza di una conduzione degli alveari che dal punto di vista sanitario mantenga gli stessi sempre in condizioni di bassissima presenza di acari ,anche nei mesi estivi ( e ciò avviene molto di rado ), con parallela consistente disponibilità di polline - quanto più possibile alta - cercando anche di non esasperare il carico di alveari presenti nel territorio, particolarmente alla distanza di maggior utilità di bottinamento di cinquecento metri —ndr ] .
I risultati ottenuti nello studio mostrano che l’accesso al polline può mitigare gli effetti negativi prodotti dalla parassitizzazione da parte di Varroa e dalle infezioni virali conseguenti alla sua presenza , ma non si può dire che vi sia certezza di come questo effetto viene ottenuto. Nelle condizioni normali di allevamento di covata, le nutrici utilizzano il polline ingerito come materia prima da trasformare in pappa per le larve in via di sviluppo. Sono programmate biologicamente a svolgere questo compito di fabbrica biochimica glicolipoproteica per una certa parte della loro vita, in relazione alla loro età [ dai 3 ai 12 / 18 giorni di vita, ma molto in relazione alle riserve di grassi disponibili all’interno del loro corpo, riserve che sono determinate dalla quantità di grassi assunta con la pappa allo stato larvale. Secondo Toth (2004 ) l’esaurimento delle riserve di grassi porta l’ape che opera da nutrice a rinunciare a detti compiti qualsiasi sia la sua età ndr ]. Per converso, le bottinatri [ e buona parte delle api di casa mielatrici ndt] non consumano polline, avendo esse processi digestivi orientati alla digestione del nettare [ ovvero dei glucidi altrimenti detti zuccheri ndt ], i quali processi non consentono loro una parallela buona digestione del polline [ si ritrovano inoltre una alterata fisiologia delle ghiandole mandibolari e salivari che non producono più pappa , ma enzimi glicolitici ndt ] .
Si può ipotizzare che una quantità standard di polline ingerito permetta in una grande quantità di casi di ottenere una sufficiente qualità “ di principi attivi “ contenuti nel polline da contrastare gli effetti negativi prodotti dalla parasitizzazione - e ciò spiegherebbe perchè le api infestate non consumano una quantità maggiore di polline rispetto a quelle sane [ nelle prove in gabbietta e senza covata ndt ]. Laddove fosse necessario ingerire una maggiore quantità di polline per ottenere i principi attivi che servono per curarsi, si potrebbe avere che ciò porterebbe anche a maggior presenza anche di altri “ materiali “ (p.e. amino acidi) e ciò potrebbe portare a qualche problema di indigestione …o di ingolfamento … [ difficile dire cosa avviene nelle nutrici in piena attività di trasformazione, che nessuno ha mai studiato ndt ]
Lo studio effettuato mostra che i componenti lipidici che costituiscono il polline svolgono una funzione chiave nel prolungare la vita delle api parassitizzate riducendo in prima istanza la presenza virale nei loro corpi .
La letteratura scientifica sembra mostrare che vi sia una grande variabilità della presenza di grassi nel polline e della composizione in acidi grassi in relazione all’origine botanica e geografica[e da ciò risulta oggi del tutto ignoto quale sia il tipo di polline che per l’insieme delle sue caratteristiche consente il massimo della resistenza a varroa e ai suoi virus ndr ].
Nel corpo di un essere vivente gli acidi grassi svolgono diverse funzioni. Sono ad esempio coinvolti nella formazione delle membrane e nella integrità delle cellule. Per questa ragione si può ipotizzare che i lipidi del polline svolgano un ruolo nella riduzione dei danni cellulari prodotti dalla parassitizzazione da varroa [ e che l’alveare “funzioni “ tanto peggio quanto più basse sono le scorte di lipidi disponibili alle sue api di generazione in generazione ndr ] .
In particolare, negli artropodi la cuticola rappresenta la prima barriera di difesa contro batteri e funghi e gli acidi grassi risultano coinvolti nella resistenza a funghi 40.Gli cidi grassi insaturi sono ben noti per le loro proprietà antibiotiche41e il polline usato in questo studio ne appare particolarmente ricco .
Per questi fatti si può ipotizzare che i lipidi ed in particolare gli acidi grassi acquisiti con la dieta possano rinforzare la cuticola riducendo gli effetti prodotti sia dalla varroa che dai microbi ad essa associati [nei fatti è piuttosto evidente che in tutte le fasi della parassitizzazione il fatto che la varroa si trovi ad avere a che fare con api con la cuticola più dura , prima allo stadio larvale e poi da adulte nella fase foretica dell’acaro, le fa sprecare sia un sacco di tempo prezioso (la sua progenie deve svilupparsi nel tempo dettato dall’opercolazione della larva di ape ) che di risorse preziose ( la varroa si ciba di emolinfa e per farlo deve rompere la cuticola sia delle larve che - in fase foretica - delle adulte allo scopo di costruire i due tipi di vitellogenina alla base della deposizione delle uova) . Come quando si deve fare un buco nel cemento con una punta che non taglia , si fatica,si perde tempo , ma non si ottiene risultato , la varroa si trova ad avere una discendenza decisamente inferiore e peggio nutrita sulle api dotate di cuticola dura e che verosimilmente cicatrizza velocemente richiudento in continuazione il foro realizzato per l’alimentazione - ndr ].
In conclusione, si può affermare che il polline rappresenta una componente essenziale della nutrizione delle api le cui proprietà vanno ben oltre il fornire amino acidi o energia (metabolica).
traduzione , riduzione e commenti di gianni savorelli offerta da ditta
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