Riflessioni sulla strategia sanitaria
Dalle conoscenze scientifiche acquisiste si intuisce la necessità di alcuni “cambi di rotta “ volti al contenimento della presenza virale dai mesi estivi al fine di ridurre le perdite invernal.
L’ alveare è una città e come per tutte le città il suo benessere deriva in gran parte dal suo passato.Dalla sua storia. E' in conseguenza di questa storia che l'alveare riesce a esprimere le sue difese immunitarie individuali e sociali e per contro si trova ad essere aggredito da un carico più o meno consistente di patogeni. In ogni momento le sue difese immunitarie derivano dalla qualità delle risorse alimentari a sua disposizione nel presente e nel passato. In altre parole le premesse per la sopravvivenza di un alveare ovvero per contro l’instaurarsi delle condizioni che possono portarlo al collasso tendono a manifestarsi molti mesi prima. In una grandissima percentuale dei casi il momento della resa dei conti per l’ alveare è l'inverno. Una grandissima parte delle perdite di alveari avviene in questo periodo. Se per alcuni “ perché ?” i motivi sono del tutto evidenti ,per altri è necessaria un’ analisi decisamente più sottile. Va ricordato che la fisiologia dell’ ape invernale è assolutamente diversa da quella dell'ape estiva. E anche che l’ aspettativa di vita dell’ ape invernale è determinata dalla quantità di proteine che la stessa può assorbire e accumulare subito dopo la nascita come adulta in età giovanile da trasformare in proteine di stoccaggio, soprattutto vitellogenina. È dunque la possibilità di un’ ottima alimentazione proteica in autunno cioè la quantità di scorte (proteiche ) ammassabili all’interno del corpo che determina quanto tempo le api invernali possono campare ovvero se possono arrivare a marzo inoltrato o se devono crepare prima per mancanza di carburante proteico. Già questa è una grande novità dato che finora l’apicoltura razionale si è affannata a fornire all’alveare solo glucidi che l’ape invernale trasforma per produrre calore, ma che non hanno in pratica altre funzioni. Per converso il lavoro di Aurori e colleghi (2013 ) ha messo ben in chiaro il ruolo degli antiossidanti relativamente all’aspettativa di vita dell’ape invernale e scarsità di anti ossidanti esogeni nella dieta, in aggiunta a scarsa capacità di produzione di anti ossidanti endogeni possono di fatto limitare la capacità dell’ape invernale di eliminare gli stress ossidatitivi quando è proprio questa capacità a conferirle la caratteristica longevità.Purtroppo i limiti di spazio sulla carta stampata costringono a rimandare per la trattazione di questo argomento ad Apitalia On line . Capito in quale modo il massimo di aspettativa di vita delle api invernali può essere espresso è anche evidenziato che fattori di stress possono accorciare l’ aspettativa di vita così determinata. Come fattori di stress ( e fra questi potrebbero essere inseriti anche interventi mal gestiti con ossalico ) le infezioni virali soprattutto da DWV sono oggi quelle più preoccupanti . Molte ricerche scientifiche hanno appunto determinato un ruolo estremamente consistente delle infezioni virali nella mortalità invernale.Si riporta brevemente l’ultima ad essere apparsa che ha studiato anche il maggior virus della Varroa ovvero VDV1: DWV/VDV-1 and overwinter colony losses in Germany - German Bee Research Conference marzo 2013
Myrsini E. NatsopoulouS, D. P. McMahon, V. Doublet, V. Maibach, E. Frey, P. Rosenkranz, R. J. Paxton (Halle, allg. Zool., Hohenheim)
La mortalità invernale è una delle maggiori cause di perdite di alveari in Europa e negli alveari che soffrono elevate perdite di operaie durante l’inverno è molto più probabile il successivo collasso. Per esplorare le cause esplicite del declino dell’alveare durante l’inverno si è provveduto dapprima ad un campionamento di api in alveari ( trattati e non trattati per la riduzione della presenza di Varroa )nell’autunno 2011 e nella primavera 2012 . A mezzo una particolare PCR (-based multiplex ligation analysis ) o (MLPA) è stata verificata la presenza/assenza di sette virus e di Nosema spp. Il livello di mortalità di operaie nella famiglia svernante è stato osservato in parallelo. Le analisi hanno mostrato una pesante presenza autunnale del virus VDV-1 (biologicamente “prossimo “ a DWV) e del BQCV indipendentemente dal trattamento della Varroa. Nella primavera successiva ( 2012 ) la presenza di VDV-1 nelle operaie è risultata bassa , suggerendo che le operaie infette fossero morte durante l’inverno . Per converso , il titolo ( quantità ) di BQCV nelle operaie non è risultato variare al variare della stagione . Per corroborare l’ipotesi derivata dalle osservazioni di campo , ovvero che la famiglia virale DWV/VDV-1 ha un significativo impatto sulla mortalità invernale di api , si è utilizzato un esperimento controllato di laboratorio nel quale si sono iniettate api autunnali con DWV/VDV-1. I risultati supportano il fatto che DWV e virus a lui collegati sono una delle maggiori cause della mortalità invernale di api e collasso degli alveari.
Questo fatto ha radici profonde e parecchio si apprende anche dal lavoro Immune answer of summer and winter bees under naturally DWV infection -
Nadja Steinmann, B. Dainat, P. Neumann ( Agroscope Berna)
Le api estive e quelle invernali differiscono sia nella fisiologia che nella durata di vita. E’ per ciò ragionevole chiedersi se le due categorie differiscono anche come risposta immunitaria e questo lavoro ha iniziato questo tipo di studio nei confronti del virus delle ali deformate ( DWV ) che al giorno d’oggi è una consistente minaccia in conseguenza della sua associazione con Varroa .Sei parametri immunitari sono stati studiati nelle api invernali e in quelle estive ovvero Defensina 1, Dorsal , Eater, Ormone giovanile , Imenoptecina, Profenolossidasi e Profenolossidasi- attivatore .I risultati sembrano mostrare una correlazione positiva ( ovvero una proporzionalità ) fra l’intensità della risposta immunitaria e la quantità di DWV presente ( il che significa che l’ape può riuscire a difendersi ndt ) in estate . Il sistema immunitario delle api invernali mostra invece una più debole reazione all’aumentare della presenza del DWV ( il che significa che l’ape fa molta fatica a difendersi e sarebbe ottima cosa che le api invernali si trovassero ad avere un carico minimo di DWV ndt ) .
Dunque l’ape invernale ha minore capacità immunitaria per resistere alle infezioni virali da deformed wing virus e sommando tutto quanto si fa presto a capire che per ridurre la mortalità invernale di alveari bisogna invernare gli stessi con una presenza virale estremamente ridotta. La domanda diviene allora come si fa a invernare alveari con presenza virale ridotta? Ovvero far si che le api che nascono dall’inizio autunno siano esenti da infezioni virali . La scienza ci ha spiegato veramente molto della dinamica virale all’ interno dell'alveare ( anche se purtroppo queste informazioni sono arrivare per ora veramente a pochi ) e si tratterà perciò di applicare queste conoscenze.Il virus delle ali deformate e' quello maggiormente coinvolto nella mortalità invernale di alveari e convive strettamente con la varroa ovvero la presenza del virus DWV è proporzionale alla presenza numerica di Varroa .In prima analisi ciò porta a dire che maggiore sarà il picco massimo di varroa nell alveare e il tempo per cui è presente , maggiore sarà il picco massimo di presenza del virus nello stesso nei mesi successivi. Da ciò si arriva a dire che a fin che una strategia sanitaria sia volta a contenere la presenza virale è necessario contenere la presenza massima di varroa durante il corso dell'anno. Come dimostrato da Ravoet e colleghi (Apitalia novembre 2013 ) la presenza di varroa nei mesi estivi è quella che determina la mortalità invernale negli alveari in conseguenza dell’infezione virale che va a determinare e perciò deve essere molto molto molto bassa. È questa assenza di presenza che evita le infezioni virali alle api ,le quali infezioni risultano essere irreversibili e in nessuna maniera eliminate nel prosieguo della stagione . La presenza virale può solo aumentare in conseguenza degli stress a cui l’ape è costretta con conseguente riduzione della sua aspettativa di vita.Per cui quello che accadrà in inverno lo si è determinato o lo si poteva determinare circa otto /dieci mesi prima. Allora, dopo aver fatto un trattamento tardo autunnale come si può fare in maniera che la presenza di Varroa sia molto bassa in estate? Una possibilità è quella di un trattamento primaverile da terminarsi prima dell'inizio dell'allevamento dei fuchi ( in modo da evitare, in conseguenza dell’infestazione da Varroa , l’infezione virale di questi e la successiva trasmissione per via venerea alle regine come descritto da Yanez e colleghi -2012 ) . La primavera è un periodo molto difficile per la varroa .Fino ha che non è avvenuto il ricambio delle api invernali e abbia a disposizione api “ estive” ha consistenti difficoltà a trovare gli “autobus” giusti per farsi portare sulle celle di covata idonee alla sua riproduzione dato che le vecchie api invernali non hanno l’odore delle nutrici . In aggiunta una consistente quantità dei maschi nati dalle uova da lei deposte è soggetto a mortalità nelle celle prima di poter fecondare le sorelle . Ha pertanto una frase foretica molto più prolungata che in altri periodi e il tasso di riproduzione è tra i più bassi dell'anno. La primavera è dunque un discreto momento per costruire le condizioni di una minima presenza di Varroa alla ripartenza primaverile e vi sono a oggi, in attesa del Formico gel ( MAQS ) almeno tre possibili modi per farlo, chi più chi meno efficace. Per converso è ormai bene spiegato che partire dalla primavera con un carico di Varroa significativo crea le condizioni per diffusione virale nell'alveare che gli interventi tardo estivi anche nelle migliori condizioni non possono risolvere .Questi interventi riescono a togliere la presenza di Varroa , ma non possono far nulla per eliminare la presenza virale ormai radicata che produrrà problemi di mortalità invernale. Il trattamento tampone tardo estivo pertanto, così come è stato finora concepito, risulterà sempre meno efficace ai fini della riduzione della mortalità invernale non avendo nessuna possibilità di controllare la presenza virale e anzi ,peggio, in conseguenza dello stress creato alle api che devono produrre uno sforzo di detossificazione per metabolizzare i varroacidi ,tendendo a incentivarne la replicazione e da ciò la presenza virale. In pratica si può arrivare a dire che per risolvere il problema “ presenza numerica di Varroa “ si sostiene inconsciamente la presenza dell’elemento letale ( le virosi , che sono sempre ed esse sole la causa della morte dell’ape in relazione alla presenza di varroa ) . Per quello che è il quadro complessivo risulta sufficientemente chiaro che i trattamenti tardo estivi dovrebbero essere fatti in situazioni di bassa presenza virale ( e di Nosema ) proprio per evitare che siano i trattamenti stessi ad amplificarne la presenza. Ovvero , di nuovo, dovrebbero essere fatti in situazione di bassa presenza di varroa. È un po' come un cane che in cerchio si morde la coda e il problema si può risolvere solo trovando l'inizio del cerchio. Per cui per ridurre la mortalità invernale degli alveari deve essere fatta una conduzione che risolva il problema alla partenza ovvero alla fine dell'inverno o inizio della primavera che dir si voglia . In tutto questo contesto sembrerebbe doveroso un occhio al contenimento della presenza di Nosema ceranae che indebolendo l'attività di raccolta delle bottinatrici riduce l'importazione di risorse soprattutto proteiche con ciò limitando la potenzialità di espressione dei sistemi immunitari individuali e sociali e per ciò aprendo la porta alla replicazione dei patogeni . La presenza del Nosema tende anche ad aumentare quella del virus della cella reale nera ( BQCV ) che può dare problemi sia alle adulte che alla covata . Si ricorderà come Ravoet e colleghi abbiano dimostrato che quando il numero di patogeni nell'alveare durante i mesi estivi diviene superiore a tre per l'alveare iniziano a essere recitate le “ messe da morto “ .In parallelo, la bassa presenza di patogeni permette all’alveare anche migliori produzioni , come dimostrato da Khoury ( 2013 ) in conseguenza di una più lunga vita delle api non colpite da virosi e nosema
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