Relazione Disciplina dell' apicoltura
XIV LEGISLATURA PROGETTO DI LEGGE - N. 429
Presentato in data 1 Giugno 2001; annunciato nella seduta n.2 del 6 Giugno 2001
On. Sauro Sedioli (Dem.Sin.-Ulivo)
Cofirmatari On. Lino Rava (Dem.Sin.-Ulivo), On. Gerardo Oliverio (Dem.Sin.-Ulivo), On. Giuseppe Rossiello (Dem.Sin.-Ulivo), On. Aldo Preda (Dem.Sin.-Ulivo), On. Luigi Borrelli (Dem.Sin.-Ulivo), On. Claudio Franci (Dem.Sin.-Ulivo), On. Rolando Nannicini (Dem.Sin.-Ulivo), On. Italo Sandi (Dem.Sin.-Ulivo), On. Alberto Stramaccioni (Dem.Sin.-Ulivo)
Onorevoli Colleghi! - A) Apicoltura: situazione internazionale e nazionale.
L'apicoltura italiana ha una tradizione antica. Nei censimenti del 1928 e del 1933 erano 100 mila gli apicoltori, con circa 600 mila alveari. Poco prima della guerra vi era circa 1 milione di alveari, con una produzione stimata attorno a 100 mila quintali di miele. La guerra dimezzò il patrimonio apistico e la sua ricostituzione è stata estremamente difficile a causa delle profonde trasformazioni del settore primario. Intorno agli anni '70 è iniziata una lenta ripresa incentivata anche dalla politica comunitaria e da un maggiore interesse dei coltivatori.
E' difficile fare una stima precisa del numero degli apicoltori e degli alveari e quindi della produzione annua di miele. Quasi sempre i dati dell'Istituto nazionale di statistica (ISTAT) contrastano con quelli forniti dalle organizzazioni apistiche e le differenze non sono di poco conto. Per fare un esempio, nel 1985 l'ISTAT censiva 370 mila alveari, mentre le organizzazioni apistiche ne censivano 850 mila.
Vi è stata nel nostro Paese una espansione del settore con crescita del numero delle aziende, degli alveari e del miele prodotto nonostante le difficoltà del mercato, l'esplodere della varroasi e la inadeguata politica verso il settore.
L'alveare non produce solo miele, ma anche altri prodotti, dalla cera al polline, dal propoli alla pappa reale, dall'ape regina agli sciami, per ottenere i quali l'apicoltore deve raggiungere un alto grado di professionalità.
I professionisti sono quelli che hanno un numero di alveari che vanno dalle 200-300 unità per azienda a cifre molto più elevate, i semiprofessionisti sono quelli che esercitano anche altre attività. Gli hobbisti hanno un numero di alveari modesto e l'attività di apicoltura è assolutamente complementare ad altre. Il numero complessivo di addetti al comparto apistico può essere stimato in circa 70 mila apicoltori di cui 7 mila produttori apistici a vocazione economica.
Si calcola che il valore del miele prodotto in un anno si aggiri intorno ai 40-45 miliardi di lire di fatturato e che l'intero fatturato del settore superi i 70 miliardi di lire.
Il valore aggiunto che l'apicoltura produce attraverso l'attività di impollinazione si calcola che raggiunga i 3.000 miliardi di lire.
In Italia il consumo pro capite di miele è relativamente basso se confrontato alle altre nazioni europee. In questi ultimi anni, comunque, si è registrato un apprezzabile aumento, determinato da una maggiore sensibilità verso i prodotti naturali di qualità.
La produzione annua si aggira attorno alle 10-12 mila tonnellate di fronte a un fabbisogno di circa 23 mila tonnellate.
Emerge pertanto un deficit molto elevato e siamo costretti ad importare miele da altri Paesi. Il prezzo del miele da importazione è molto più basso del costo di produzione del miele italiano.
In quasi tutti i Paesi del mondo esiste l'attività di apicoltura; si calcola che gli apicoltori siano più di 6 milioni e circa 50 milioni siano gli alveari, con una produzione annua di circa 1 milione e 200 mila tonnellate di miele.
I maggiori produttori sono la Cina, la Russia, gli Stati Uniti, e, subito dopo, l'Argentina, il Canada e il Messico.
I Paesi comunitari producono circa l'8 per cento del miele mondiale, più di 100 mila tonnellate nel 1991, con un incremento del 3,3 per cento rispetto al 1990. Vi è nei Paesi della Unione europea una espansione di questo settore, le maggiori produzioni si sono avute in Germania, in Spagna, in Francia ed in Italia. Nei Paesi della Unione europea si ha un consumo annuo di più di 200 mila tonnellate e nel 1990 si è avuto un incremento dei consumi del 2,2 per cento. La Germania è il Paese in cui si ha il maggiore consumo pro capite annuo (chilogrammi 1,5), seguita dalla Grecia e Danimarca, rispettivamente con 1,3 e 0,8 chilogrammi.
La Unione europea ha importato nell'anno 1990 circa 150 mila tonnellate di miele, la Germania è il Paese che assorbe più del 50 per cento del miele importato, seguita dal Regno Unito con il 18 per cento e, quindi, dagli altri Paesi.
Le esportazioni della Unione europea sono decisamente più basse delle importazioni, circa 30 mila tonnellate annue; le esportazioni sono state effettuate quasi per il 50 per cento dalla Germania.
A livello comunitario abbiamo, quindi, una produzione di miele non sufficiente a fare fronte al fabbisogno interno; il grado di autoapprovvigionamento è del 47 per cento.
B) Importanza dell'apicoltura.
Il settore apistico è stato nel nostro Paese spesso ingiustamente trascurato. Poco ci si è preoccupati di questa attività produttiva, della trasformazione e commercializzazione dei suoi prodotti, degli aspetti biologici e sanitari degli alveari. Lo scarso interesse per l'apicoltura, da parte degli enti pubblici è dovuto a varie cause: al modesto reddito che dalle api si ottiene, al numero di occupati nel settore, alla presenza di molti hobbisti, al fatto che non ci si è resi conto della grande funzione che le api svolgono per l'economia e l'ambiente.
Si è tardato molto a riconoscere, anche per assenza di dati certi, che l'apicoltura è un settore strategico per le produzioni agricole.
A questo riguardo ci sono studi e ricerche che dimostrano che circa 40 mila miliardi di lire del prodotto lordo vendibile in agricoltura risultano legate all'attività di impollinazione delle api.
Il massiccio impiego di fitofarmaci tossici e non selettivi, la pratica di monocolture su vaste estensioni, la meccanizzazione, la scomparsa di cespugli e di essenze spontanee, hanno provocato da un lato la quasi totale scomparsa degli insetti utili, e dall'altro la comparsa di altri organismi dannosi, che resistono anche all'uso dei pesticidi. A questo va aggiunto il fatto che oggi vi è la tendenza ad utilizzare in frutticoltura cultivar autosterili e di usare sementi ibride che dipendono da impollinazione incrociata. In questa situazione il servizio di impollinazione delle api è essenziale. Per alcune colture l'unica forma valida di impollinazione è quella entemofila, la produttività e la riproduzione del soggetto vegetale sono oggi quindi garantite dalle api.
L'azione impollinatrice delle api è indispensabile anche per equilibri ecologici della flora spontanea.
Un calcolo per difetto ci porta a dire che l'intervento delle api sulle piante e sugli alberi da frutto attraverso l'impollinazione assicura all'agricoltura italiana un incremento produttivo valutabile attorno ai 3 mila miliardi di lire all'anno.
L'ape è quindi un fattore produttivo dell'economia. L'agricoltore, soprattutto per le colture specializzate, non può più limitarsi a preoccuparsi solo del clima, della concimazione, della potatura, della lotta ai parassiti, ma deve pensare soprattutto a come ottimizzare l'impollinazione e quindi l'impiego delle api.
In questo quadro lo sviluppo delle produzioni di qualità reclama anche un uso di prodotti che non distruggano gli insetti che sono a loro servizio. Le api sono degli insetti che si rilevano sensibili agli anticrittogamici, agli insetticidi e quindi possono diventare strumento di controllo della pericolosità e nocività di questi prodotti e dell'inquinamento del territorio.
C) Produzione, commercializzazione: vincoli strutturali.
In Italia grazie alle condizioni geografiche e climatiche favorevoli e alla professionalità degli apicoltori, produciamo più di 30 tipi di miele pregiato. Tuttavia l'apicoltura del nostro Paese non si sviluppa come dovrebbe a causa di alcuni rilevanti vincoli di carattere strutturale, ambientale, giuridico, sanitario e politico.
In molte zone del Paese, in seguito alla meccanizzazione e alla specializzazione colturale, si è sviluppata la monocoltura che, modificando interi ecosistemi, ha comportato la riduzione della disponibilità e della varietà floreali; nelle zone di collina e di montagna si va perdendo la copertura arborea, arbustiva ed erbacea e gli ecosistemi boschivi si sono profondamente modificati.
La meccanizzazione, le monocolture e l'agricoltura intensiva hanno portato all'uso massiccio di diserbanti e pesticidi anche durante il periodo della fioritura con conseguente morìa di api e a volte di interi apiari.
I costi di produzione del miele in Italia, per carenze strutturali ed organizzative, sono molto superiori a quelli di quasi tutti gli altri Paesi comunitari e non solo. Gli apicoltori italiani riescono a produrre e a vendere i loro prodotti perché accettano una remuneratività della manodopera e dei capitali investiti al di sotto delle quotazioni di mercato. La Germania attua una vera e propria concorrenza sleale, in quanto importa miele dai Paesi extraeuropei a prezzi bassi, lo lavora, lo confeziona e lo riesporta nei Paesi della Unione europea, soprattutto in Italia, a prezzi inferiori a quelli del costo di produzione dei nostri mieli.
I bassi prezzi del miele in Italia sono dovuti anche alla polverizzazione della offerta che riduce il potere contrattuale degli apicoltori e al fatto che essi sono imposti da poche aziende agroalimentari.
Vi è polverizzazione delle aziende, tutte piccole, e questo è un pesante ostacolo allo sviluppo dell'apicoltura, perché in questa tipologia di aziende è difficile attuare criteri di imprenditorialità e di professionalità molto elevate.
Le aziende non sono dotate di attrezzature tecnologicamente avanzate; non sono diffuse strutture consortili, cooperative idonee allo stoccaggio, alla lavorazione e al confezionamento del miele.
Esiste un problema di mercato sia per quanto attiene i controlli sulla qualità dei prodotti, che non sono sufficienti a mettere i produttori al riparo dalla concorrenza sleale, e soprattutto non si è riusciti a definire un corretto ed equilibrato rapporto fra produzione e commercializzazione. Occorre rapidamente definire il quadro normativo per i prodotti tipici, di origine protetta, e le specificità alimentari ai sensi dei regolamenti (CEE) n. 2081/92 e n. 2082/92 del Consiglio, del 14 luglio 1992.
Manca una adeguata assistenza sanitaria, sono carenti le strutture diagnostiche che potrebbero sostenere e risolvere i problemi degli apicoltori. L'intervento sanitario è impostato più sulla repressione che sulla prevenzione, e questo produce ostacoli al nomadismo e non migliora le conoscenze degli apicoltori.
La politica di ricerca e sperimentazione ha pochi mezzi e poche risorse a disposizione e manca il coordinamento fra diverse iniziative. La ricerca dovrebbe coprire invece il settore della produzione, quello sanitario, la vita e l'attività delle api, il miglioramento genetico e il rapporto api-ambiente. La stessa formazione professionale degli addetti dovrebbe collegarsi con questo quadro di riferimento per conseguire innovazioni produttive e miglioramenti qualitativi e ambientali.
Le inadempienze e le carenze registrate non hanno consentito all'Italia di esercitare un ruolo positivo anche in ambito comunitario in relazione alle politiche di sostegno al settore che vede contrapporsi ai grandi Paesi produttori (Italia, Francia, Spagna e Grecia) il fronte degli interessi industriali espressi dai Paesi del nord Europa, in primo luogo dalla Germania.
Tutti questi vincoli e carenze limitano la valorizzazione del settore e il ruolo dell'apicoltura come parte decisiva di un ciclo non fine a se stesso ma di grande aiuto allo sviluppo della produzione agricola.
D) La proposta di legge.
La nostra proposta di legge si muove proprio nella direzione del superamento di queste carenze e del recupero degli annosi ritardi nella definizione di una moderna legge quadro.
L'articolo 1 riconosce l'apicoltura come attività di interesse nazionale nell'ambito agricolo.
L'articolo 2 considera l'apicoltura come attività imprenditoriale agricola.
L'articolo 3 considera a tutti gli effetti prodotti agricoli: il miele, la cera d'api, la pappa reale, il polline, il propoli, il veleno d'api, le api e le api regine, l'idromele e l'aceto di miele.
L'articolo 4 modifica la legge n. 753 del 1982 affidando al Ministero delle politiche agricole e forestali, di intesa con i Ministeri della sanità e dell'industria, del commercio e dell'artigianato, la pubblicazione di metodiche ufficiali per l'analisi del miele, stabilendo le caratteristiche fisiche, chimiche, microscopiche e organolettiche dei principali mieli.
L'articolo 5 definisce l'apicoltura ed il produttore apistico.
L'articolo 6 disciplina l'uso dei pesticidi ai fini di salvaguardare l'azione pronuba delle api.
L'articolo 7 stabilisce il metodo ed indica le istituzioni e le organizzazioni per la concertazione finalizzata alla predisposizione di un documento programmatico contenente gli indirizzi delle attività per il settore apistico.
L'articolo 8 indica le procedure per la denuncia degli apiari e degli alveari, ai fini dell'incremento quantitativo e qualitativo del prodotto e della profilassi sanitaria.
L'articolo 9 indica le risorse nettarifere di valore pubblico e le forme di incentivo per la pratica economica-produttiva del nomadismo.
L'articolo 10 stabilisce le norme di sicurezza per la collocazione degli apiari.
L'articolo 11 abroga le norme contenute nel regio decreto-legge 23 ottobre 1925, n. 2079, convertito dalla legge 18 marzo 1926, n. 562.
L'articolo 12 riconosce il servizio di impollinazione a tutti gli effetti, giuridici e fiscali, come attività agricola.
L'articolo 13 adegua il regolamento di polizia veterinaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 320 del 1954, e l'articolo 14 affida alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano la determinazione delle sanzioni amministrative, per fatti che non costituiscano reato ma inadempienze alle disposizioni previste nella legge.
L'articolo 15 provvede alla copertura finanziaria e l'articolo 16 stabilisce l'entrata in vigore.