Disinfezione del materiale apistico
Tentiamo in questo articolo di presentare i concetti di base della
disinfezione del materiale apistico, molto lontani dall’essere
convinti di aver trattato l’argomento in maniera approfondita ed
esaustiva. Si può ritenere che allo scopo , un articolo sia del tutto
insufficiente. Sarebbe molto più opportuno un manuale. In aggiunta,
sarebbero necessarie anche diverse ricerche per l’ottimizzazione
dell’uso delle più moderne tecnologie, tecniche e sostanze
disinfettanti sui materiali specifici. In attesa di ciò, è forse
meglio quanto segue che niente.
Nel lavoro di :
Rossana Reale,Emanuela Abbate e Donatella Barberis si può leggere che :
“ La parola disinfettante apparve nel XVII secolo, quando si
pensava che certi effluvi o misteriose inalazioni causassero malattia
e potessero essere distrutte da sostanze chimiche come lo zolfo
combusto. Le malattie e gli ospedali erano associati con i cattivi
odori o con l’aria malsana, per cui il disinfettante era ciò che,
distruggendo l’odore, allontanava le infezioni.
Patterson ha raccolto 143 definizioni di “disinfettante” note tra il
1854 e il 1930 e ha evidenziato che in 25 di esse non si faceva
riferimento ad un eventuale effetto sui germi. Fu comunque Pringle,
nel 1750, ad indicare come antisettiche le sostanze che inibivano la
putrefazione di materie organiche; e fu solo con Lister che il
concetto di antisepsi venne legato ad un’azione sui germi di tipo
battericida o batteriostatico.
Di pari passo col progredire delle nozioni microbiologiche sono andati
sviluppandosi i “concetti di disinfezione - disinfestazione -
sterilizzazione” e di tutti i provvedimenti di profilassi delle
malattie infettive .”
L’eliminazione dei patogeni (sia nelle forme vegetative che di
resistenza ) può avvenire con mezzi chimici e con mezzi fisici:
Per le conoscenze attuali sono considerabili come mezzi fisici di
disinfezione:
* calore
* raggi UV
* Raggi gamma
* Ultrasuoni
Il Calore rappresenta probabilmente il metodo più vecchio di
disinfezione .La maggior parte dei patogeni muore a temperature
superiori a 46°C con velocità tanto maggiore quanto più elevata è la
temperatura dell’ambiente.
Le loro spore( particolarmente quelle batteriche ) , che sono le
forme di resistenza ,sopravvivono a temperature molto più alte. E’
necessario oltrepassare i 100 °C per avere un’azione di disinfezione
significativa. A seconda del vettore di calore utilizzato si distingue
in :
Calore umido – In un contenitore ( autoclave) _ si utilizza vapore
acqueo sotto pressione come vettore del calore .
Si ha il vantaggio di un'alta capacità termica unita alla facilità
di penetrazione nei corpi porosi.
L'autoclave è costituita da un contenitore in acciaio, dotato di un
portello che deve essere chiuso ermeticamente dall'esterno. Il vapore
acqueo è prodotto da una caldaia e veicolato nell'autoclave da una
pompa. L'aria inizialmente contenuta nell'autoclave viene fatta uscire
fino a che nel suo interno rimane unicamente vapore acqueo sotto
pressione. La pressione che si raggiunge all'interno è circa 1
atmosfera , cui corrisponde una temperatura del vapore acqueo di 121
°C. La sterilizzazione viene protratta per 20 minuti almeno.
Calore secco –Anziché il vapore ,può più semplicemente ma meno
efficacemente, essere utilizzata l’aria come vettore di calore . Gli
apparecchi di questo tipo assumono il nome di stufe . L'equilibrio
termico del materiale da sterilizzare viene raggiunto per convezione.
Per facilitare il processo si utilizzano sistemi di ventilazione ad
aria forzata, avendo cura di non riempire troppo la stufa in maniera
da facilitare la circolazione dell'aria.
Questa metodica richiede tempi e temperature maggiori rispetto
all'autoclave, non essendo l'aria un buon conduttore del calore e in
conseguenza del fatto che
la pressione ambiente a cui lavora la stufa concede alle spore la
possibilità di una maggiore resistenza.
Nell’uso di queste stufe è necessario ricordare che vi è una relazione
fra “ tempo di cottura “ e temperatura del forno che determina il
grado di sterilizzazione. Si dovrebbe conoscere la temperatura
raggiunta dal forno e su questo dato , sulla base degli studi
esistenti , determinare il tempo necessario come dal seguente schema :
Temperatura (°C) Tempo (min.)
140 180
150 150
160 120
170 60.
Storicamente , la disinfezione in autoclave , spesso utilizzando “ a
noleggio” le attrezzature dei macelli comunali ha rappresentato la
metodica più utilizzata per la disinfezione delle arnie.
Allo stesso modo è stato spesso tentato l’utilizzo come stufe a secco
di forni rurali per il pane , forni e vari altri tipi di
riscaldatori. Queste attrezzature “ improvvisate “ possono avere il
difetto di non presentare al loro interno temperature omogenee con
effetto di scarsa sterilizzazione nelle parti a più bassa temperatura .
I raggi gamma
Da uno studio di Mutinelli dell’Istituto zooprofilattico delle venezie
e altri :
“L’effetto delle radiazioni sui prodotti dell’alveare quali cera e
miele risulta modesto almeno nei dosaggi compresi tra 10 e 15 kGy,
considerando anche che si tratta di materiale destinato alle api e
non all’alimentazione umana. Il riciclo del materiale irradiato non
crea quindi alcun problema alle api né in termini di cera e quindi di
favi né in termini di miele e quindi di alimento che ritorna alla
famiglia. Si può quindi concludere esprimendo un giudizio favorevole
nei confronti dell’applicazione delle radiazioni gamma finalizzata
alla sterilizzazione del materiale apistico con un trattamento a 10
kGy. “
da fonte IFN : “Il meccanismo con cui le radiazioni distruggono i
microrganismi è legato al danno causato al DNA, la molecola preposta
alla riproduzione cellulare. La frazione di sopravvivenza, S, alle
radiazioni è un fattore fondamentale nei processi biologici ed è
esprimibile con l’equazione statistica di Poisson:
S = exp (- K D )
dove: D è la dose assorbita, K è la probabilità, per unità di dose,
che la radiazione interagisca con il DNA per produrre una lesione
letale.
diagramma semilogaritmico dell'eq.ne di Poisson:
log S = - K D
Il valore di K rappresenta la sensibilità alla radiazione dei
microrganismi; esso dipende dalla quantità di DNA nel nucleo
cellulare, dal metodo di sterilizzazione, dal tipo di microrganismo e
dal tipo di ambiente. Ad esempio nel diagramma a destra (Fonte: Infn)
sono mostrate le curve di sopravvivenza del batterio "salmonella Ty2"
in diversi ambienti. Si osserva che la dose di radiazione per ridurre
a 10-8 la popolazione di questo batterio in una soluzione salina, ad
esempio, è minore di 1 kGy, mentre se il batterio è congelato o
liofilizzato le dosi sono rispettivamente 2.20 e 5.52 kGy.
Il processo di sterilizzazione è anche fortemente influenzato dalla
diversa sensibilità dei vari ceppi di microrganismi e dalle condizioni
di irraggiamento.
La natura statistica del processo di radiosterilizzazione rende
impossibile eliminare tutti i microrganismi (inattivazione totale), ma
li riduce solo di una certa percentuale che cresce al crescere della
dose. Questo risultato vale per tutti i metodi di sterilizzazione
comunemente utilizzati. In generale le Farmacopee Ufficiali
considerano sicuro un livello di sterilità garantita tale che la
probabilità di sopravvivenza dei microrganismi nel materiale trattato
sia inferiore a 10-6 . Per ridurre le popolazioni presenti fino a
questi valori sono necessarie dosi che variano da 10 a 60 kGy a
seconda del microbo e dell’ambiente. “
Le Radiazioni Ultraviolette
Il fisico danese, Niels Ryberg Finsen, fu il primo ad utilizzare gli
ultravioletti come agenti sterilizzanti.Già dagli anni ‘40, la
radiazione UV nella sua frazione a lunghezza d’onda più corta, da 200
a 280 nanometri (UV-C), ha trovato ampia applicazione contro batteri,
funghi, lieviti e virus.
Le radiazioni della banda UV-C sono caratterizzate da un marcato
effetto germicida, con un picco di massima efficacia in corrispondenza
della lunghezza d’onda di 254 nm ma hanno uno scarso potere di
penetrazione. Infatti nella maggior parte delle sostanze, l’energia
radiante viene completamente assorbita dagli strati superficiali.
Inoltre le radiazioni UV-B ed UV-C possono causare eritemi e, in caso
di esposizione non protetta da occhiali o indumenti, congiuntiviti
acute, molto fastidiose, ma risolvibili senza postumi, in pochi giorni.
Gli Ultrasuoni
L’energia meccanica può trasmettersi attraverso qualunque mezzo
sotto forma di onde elastiche, caratterizzate dall’ampiezza e dalla
frequenza. Le frequenze tra 10 e 16/20.000 Hertz sono percepibili
dall’orecchio umano e prendono il nome di suoni, mentre le frequenze
superiori, che arrivano sino a migliaia di Mega-Hertz sono
genericamente dette ultrasuoni.
Gli ultrasuoni ad alta frequenza sono usati per rimuovere impurità
sfruttando il fenomeno della cavitazione(formazione di milioni di
bollicine che implodono vicino o dentro l’oggetto da lavare), per
ottenere una pulizia anche a livello molecolare.In ambito sanitario
vengono utilizzati per la pulizia approfondita di materiali in cui lo
sporco non è raggiungibile con metodi manuali Attualmente, quindi sono
considerati un valido ed accurato sistema di pulizia e lavaggio che,
pur abbattendo la carica batterica con la sola azione meccanica, non
da luogo a pieno titolo a disinfezione.
Mezzi chimici
Citando Guidotti : “ Un agente antimicrobico è un composto chimico che
uccide i microrganismi o ne inibisce la possibilità di crescita e può
essere sia un composto naturale che un composto chimico di sintesi.”
Dagli anni 60 in poi si è potuto osservare un’autentica
proliferazione di sostanze disinfettanti sempre più potenti ( e
spesso meno tossiche e caustiche ) le quali possono essere così
sintetizzate :
* ossidanti diretti : acqua ossigenata
* alogeni: cloro, iodio
* alcoli: etilico, isopropilico
* aldeidi: formica, glutarica
* fenoli
* saponi
* detergenti sintetici
* clorexidina
Negli anni, diverse di queste sostanze sono state prese in
considerazione per l’uso apistico , in cui i materiali disinfettati
sono a contatto con alimenti. Non tutti i disinfettanti possono perciò
essere presi in considerazione per quest’uso.
La storia della disinfezione apistica
La disinfezione in apicoltura nasce soprattutto per contrastare il
Paenibacillus larve , l’agente della peste americana.Trattandosi di un
batterio dalle spore particolarmente “tignose”, una disinfezione
efficace nei confronti delle sue spore lo sarà certamente anche nei
confronti degli altri patogeni dell’alveare.
Lo prendiamo perciò come metro di riferimento.
Ossido di etilene è molto attivo contro microrganismi e spore.
Tuttavia il suo utilizzo nella pratica è risultato poco diffuso
perché presenta tutta una serie di difficoltà e un’efficacia
variabile in relazione a diversi fattori, primo fra tutti la tipologia
di telaino: il miele funge da barriera per cui l’ossido di etilene non
è efficace sulle spore presenti in celle con miele. Anche il tipo di
camera i cui avviene la fumigazione incide sui risultati finali in
quanto danno esiti migliori le camere a tenuta come gli autoclavi e
quelle di piccole dimensioni. Anche le condizioni di temperatura ed
umidità create all’interno della camera, oltre che la concentrazione
di etilene modificano il risultato finale. L’elevato costo di gestione
del processo associato al fattore tempo e alla pericolosità delle
camere ( vi sono possibilità di esplosioni ) ed all’incertezza del
risultato, rende questa tecnica poco appetita agli apicoltori
(Ratnieks, 1992 citato da Mutinelli) .Poiché questo gas é molto
irritante, é anche necessario favorirne l'allontanamento prima di
utilizzare il materiale trattato. Ciò avviene spontaneamente dopo un
sufficiente periodo di conservazione (1-15 gg ) .
La soda caustica è stata il disinfettante apistico per antonomasia.
Sembrerebbe oggi tecnicamente superato anche se trova ancora tanti
estimatori. Ha come caratteristiche negative di logorare i materiali
in essa immersi per disinfezione e richiede grandissima precauzione
d’uso ( provoca ustioni per contatto con la pelle e cecità per
contatto con gli occhi ) . Per ciò che riguarda l’efficacia
sporicida , dalle prove comparative disponibili ( haklova 2003) sembra
mostrare un’efficacia molto più bassa rispetto a quella del più
attuale Magnesio Monoperossiftalato
Il cloro , essendo normalmente disponibile in ogni casa è stato
largamente preso in considerazione per l’utilizzo apistico.Secondo
DOBBELAERE W. e al (2001) non bisogna dare per scontata l’efficacia
di questa sostanza. Se nei fatti il cloro ha un’ottima capacità di
uccidere le spore di peste americana se queste sono completamente “
allo scoperto “( già a concentrazione dello 0,5% ) , la sua capacità
si riduce drasticamente nel caso di presenza di materiale organico ,
che è poi il caso che si presenta sempre nella pratica apistica .
Insomma, la capacità di penetrazione del cloro nei materiali , è
secondo il ricercatore belga veramente molto bassa. Ciò dà luogo ad
una disinfezione superficiale , ma la riduzione interna è molto bassa.
In pratica il cloro dovrebbe essere utilizzato a concentrazione minima
del 5% per avere disinfezione superficiale . Molto più raccomandabile
secondo lo studio belga concentrazione del 50% per avere disinfezione
in profondità. I prodotti a base di cloro normalmente in commercio non
raggiungono normalmente nemmeno la concentrazione del 5%. Sembra
dunque che vi siano stati e vi siano molti casi in cui l’apicoltore è
convinto di aver eseguito una sufficiente disinfezione , mentre la
realtà è ben diversa.
E’ anche da aggiungere che l’allungamento del tempo di esposizione al
cloro non migliora il risultato, a causa della scarsa penetrazione del
prodotto.
Della disinfezione a fiamma tradizionalmente usata, e della
lavatura , si trova che, secondo Hansen (97), citato da Contessi ,
dette metodiche di disinfezione hanno il seguente livello di efficacia:
Passaggio alla fiamma 84%-( e da notare che con questa dizione non si
intende una “ passatina “ ma una bruciatura capillare tale da lasciare
l’interno dell’arnia completamente brunito ( arrostito )
sfregamento con spazzola e acqua saponata 75,7%
idropulitrice ad alta pressione con acqua fredda 81,20
L’attualità -L’ossigeno attivo
Magnesio Monoperossiftalato- Si tratta di una sostanza che agisce
veicolando ossigeno attivo. Usata normalmente come disinfettante, è
stata testata per utilizzo apistico da Haklova e altri dell’Istituto
apistico della repubblica boema ( Apiacta n° 38) . La sua efficacia
sembra essere superiore a quella della soda caustica in varie
tipologie di prova . Dopo un’ora di esposizione a soluzione all’1%
la carica rinvenibile di Paenibacillus larvae scende sotto 100 CFU /
ml (limite di rilevamento ) in prova con spore sospese in
soluzione in liquido.
Acido peracetico- Anche in questo caso è veicolato ossigeno attivo. La
sostanza è largamente utilizzata come disinfettante medico-
ospedaliero. Ammesso dal disciplinare CEE per l’apicoltura biologia .
E’ stato utilizzato come disinfettante per materiale apistico da
Rudenko ( Apiacta 38 ) del Laboratorio di patologia apistica
dell’Ucraina .
I disinfettanti a base di ossigeno attivo hanno il grosso vantaggio
di poter essere utilizzati anche sui favi ( ovviamente nudi )
consentendone una buona disinfezione.
Affrontare concettualmente la disinfezione
Cerchiamo di capire cosa ci troviamo di fronte!
Secondo Van derHohe ( Apiacta 38 ) il Paenibacillus larvae non è
ubiquitario , ovvero non è presente in tutte le famiglie di api .Le
spore risultano distribuite dalle famiglie colpite a quelle sane dello
stesso apiario e di altri apiari. Le analisi effettuate per anni dal
ricercatore tedesco e dai suoi collaboratori dimostrano che( a parte
ovvie eccezioni ) le famiglie vengono contaminate dalle spore 2 o 3
anni prima che vengano a manifestarsi i sintomi evidenti della
patologia. Vi è dunque un effetto di accumulazione delle spore che
assume carattere di pericolosità generalmente oltre le 4500 spore / g
di miele ( per dare un’idea, circa 90.000.000 di spore a famiglia
ragionando con grande approssimazione non tanto numerica , quanto
concettuale) .
Dunque la lotta alla peste americana consiste in gran parte nel
mantenere le famiglie al più basso livello di presenza di spore
possibile. Ovviamente la tipologia di conduzione apistica ha un grande
impatto in questo senso ed è parte essenziale della lotta , ma non
fa parte di questa trattazione.
Detto delle sostanze che possono essere utilizzate come
disinfettante , e descritto parzialmente il nemico, bisognerà
prendere in considerazione il processo di disinfezione. In questo
processo molti fattori possono risultare variabili, anche a seconda di
quello che si usa.
Fattori che influenzano la disinfezione:
* Tempo di esposizione al disinfettante ( tanto è maggiore , maggiore
saranno i risultati )
* Concentrazione del disinfettante ( tanto è maggiore , maggiore
saranno i risultati )
* Presenza di sostanze organiche sul materiale da trattare ( tanto è
maggiore , peggiori saranno i risultati )
· Natura del microrganismo che può essere più o meno
resistente ( nel caso apistico solo il Paenibacillus larve è
problematico, tutti gli altri patogeni si possono considerare
avversari “facili “)
Omettiamo le considerazioni sulla temperatura, che può influenzare la
disinfezione, ma non molto nel caso apistico.
In apicoltura si ha spesso, se non quasi sempre a che fare con la
disinfezione di sostanze porose.Questi pori risulteranno appunto
saturati da materiale organico e questa combinazione potrà rendere
difficoltoso per il disinfettante il raggiungimento del patogeno, che
può risultare spesso ben protetto. La disinfezione risulta tanto
peggiore quanto più il materiale in questione è sporco e poroso .Per
questo motivo nei disinfettanti moderni vengono inseriti anche
tensioattivi che ne facilitano la veicolazione ed enzimi che hanno lo
scopo di sciogliere le sostanze organiche presenti.E’ certo il caso di
non lesinare mai una buona pulita manuale. Perciò,in molti casi la
disinfezione del legno non darà un esito totale ,assoluto, ma si può
ritenere che la riduzione della carica batterica sia comunque
decisamente significativa.
Per spiegare con parole comprensibili si può pensare all’eredità
lasciata dal famoso zio d’america. Senza disinfezione può essere
dell’ordine dei 5 miliardi di vecchie lire. Con disinfezione può
essere nell’ordine di un milione e seicentomila lire.
Disinfezione di superfice e del solido
Si può allora considerare il concetto di disinfezione di superficie
e quello di disinfezione del solido. Abbiamo detto che nei nostri
materiali porosi non sempre il disinfettante riesce a raggiungere
tutte le spore. Sicuramente riesce a lavorare bene sulla superficie .
Sicuramente rimane qualcosa , come specificato nell’esempio più sopra
nei pori. Bisognerà considerare che ancora oggi poco si sa della
successiva mobilità di queste spore , che in gran parte potranno anche
rimanere ferme dove sono e che dall’altra parte un qualsiasi telaino
di miele proveniente da un qualsiasi apiario potrebbe contenere un
numero di spore ben maggiore di quello lasciato dal disinfettante.
Disinfezione di routine e disinfezione da malattia conclamata ( peste
americana )
Sarebbe necessario distinguere fra una disinfezione di routine fatta
per quasi azzerare una quantità già bassa di patogeni in meteriale
proveniente da allevamento che non presenta patologia in atto e quella
di arnie o altro materiale di famiglie con sintomi conclamati.
Nel primo caso è una disinfezione di “basso livello “ ( e costo )
che fa sì che materiale con relativa carica batterica diminuisca o
alla peggio non aumenti il suo livello di contaminazione.
A seconda dell’accuratezza con cui è effettuata potrà dare risultati
buoni o ottimi , ma anche nel peggiore dei casi produce abbassamento
del livello di presenza di spore, condizione fondamentale per
diminuire le probabilità di comparsa della patologia .
Nel secondo caso vi è invece necessità di un abbattimento notevole ,
ovvero quanto più alto possibile della carica batterica contenuta nei
materiali e sarà certo consigliabile effettuare
una disinfezione molto molto accurata sia come pulitura manuale che
come concentrazione del disinfettante utilizzato ( la più alta fra
quelle indicate dal produttore ) che come tempo di disinfezione
( quanto più lungo possibile ). Tuttavia, ad esempio ripopolando
l’arnia disinfettata, utilizzando telaini provenienti dall’apiario in
cui vi è stato il caso conclamato, si può ritenere che tali telaini
immessi avranno verosimilmente carica batterica superiore a quella
lasciata nell’arnia dalla disinfezione…..
Perciò in caso di patologia conclamata , la disinfezione è solo una
parte di quanto necessario fare per debellare la malattia dall’apiario.
Si può concludere che la disinfezione assoluta del materiale apistico
è parecchio difficile ( e di conseguenza anche costosa ) e che è
difficile liberarsi completamente delle spore una volta che le si ha
“in casa”,mentre sembra realizzabile una disinfezione “relativa”che,
unita ad una corretta prassi apistica , consenta di mantenere le
famiglie ad un livello di presenza di spore molto sotto il livello di
potenziale pericolosità del patogeno .
Ovviamente, la dimensione aziendale potrà avere un peso notevole sulla
possibilità di gestione di sistemi di igiene e profilassi.
Se per quelle di notevoli dimensioni si può ritenere oggettivo
l’aggravio di lavoro e di costi per quelle piccole è molto verosimile
che prevenire sia molto meglio che “ curare”.
Savorelli Gianni --- prodotti per apicoltura
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