L'Idromele:la produzione
Introduzione
Dopo anni di prove e sperimentazioni, di delusioni e compiacimenti, di esistenza sotterranea misconosciuta, finalmente l’idromele esce allo scoperto per proporsi come bevanda con una sua dignità e non come curiosità paleostorica.
E la nostra piccola esperienza riproduce un po’ la storia stessa dell’idromele, fatta di momenti di grande considerazione e di oscuramento, di presenza centrale nei miti e nelle culture e di dimenticanza, con momenti di rinascita e di grande diffusione tra i popoli e di scomparsa totale dalla nostra cultura; tutto questo fa dell’idromele una bevanda sconosciuta ai più, ma dal grande potere evocativo.
Ma ha ancora l’idromele qualcosa da dire ai nostri palati massificati, sommersi da sapori ruffiani costruiti in laboratorio, dagli accattivanti gusti artificiali che nascondono miseri prodotti venduti a caro prezzo?
La risposta è ovviamente si, perché nel processo di elaborazione dell’idromele si è tenuto conto si della storia del prodotto nei secoli, ma soprattutto delle moderne tecniche della vinificazione come il controllo della temperatura, l’uso di lieviti selezionati, le filtrazione, l’igiene della cantina e dei contenitori.
Tutto questo ci ha permesso di ottenere una bevanda dal gusto inconsueto, gradevole, e che soprattutto può dar luogo a degli abbinamenti gastronomici che si esaltano a vicenda. Con in più la coscienza di compiere un gesto antico, di degustare una bevanda che ci lega ai nostri più antichi antenati, che sembra essere presente nel nostro DNA tanto ci ricorda qualcosa di indefinito ma conosciuto, di mai gustato ma ugualmente presente nel nostro inconscio; perché ormai sappiamo bene che mangiare e bere non significa solo nutrirsi ma compiere un gesto culturale.
La produzione
Ma andiamo a vedere nel dettaglio come si fa l’idromele e ad esaminare i suoi componenti principali, innanzi tutto l’acqua ed il miele.
I seguaci della cultura Celtica consigliano di usare acqua di una Fonte Sacra; forse non sarà necessario che sia sacra ma sicuramente deve essere acqua di sorgente poiché l’acqua del rubinetto contiene cloro, che potrebbe interferire con la vita dei saccaromiceti della fermentazione; ed ancora, un acqua povera di sali si presta meglio sia a diluire il miele sia a permettere una buona fermentazione, quindi è preferibile un’acqua oligominerale se non proprio acqua distillata. (Plinio consiglia di usare acqua piovana ).
Per quanto riguarda il miele questo deve essere pulito, dal gusto gradevole e senza tracce di fermentazione; non si fa un buon prodotto con una materia prima di bassa qualità. Cosa significa pulito? Non è certo agli elementi macroscopici come corpi estranei che nel miele non devono esserci, ma soprattutto mi riferisco alla presenza di pollini e mucillagini che sono naturalmente presenti nel miele.
Entrambi possono interferire con il gusto finale dell’idromele conferendo un sapore amarognolo a causa degli oli essenziali in essi presenti. Sarà quindi buona norma non utilizzare miele di schiumatura, nel quale questi elementi sono concentrati per differenza di peso specifico o mieli particolarmente ricchi di polline. In ogni caso dovremo eliminarli prima di iniziare la fermentazione ed i sistemi che abbiamo a disposizione sono essenzialmente due: la cottura del mosto e la filtrazione. La cottura consiste nel portare a ebollizione il mosto e nello schiumare gli elementi figurati che il calore avrà coagulato e che galleggeranno in superfice; operazione poco costosa, adatta alle piccole quantità, ma bisogna porre attenzione a non alzare troppo la temperatura e non protrarla troppo a lungo per il rischio che il mosto prenda sapore di “cotto”. La filtrazione, adatta alle grandi quantità viene fatta con filtri a cartoni del tipo da enologia; i costi sono molto più alti e anche le procedure operative più complicate: usare cartoni a basso filtraggio e non interrompere la filtrazione per evitare che il colpo d’ariete rompa i cartoni sono le regole di base .
Per dovere di completezza diciamo che è possibile usare anche la chiarificazione con bentonite ed il sottozero: la bentonite è un argilla purificata per uso enologico che ha grandi capacità assorbenti, basta metterla a bagno in acqua una mezza giornata prima dell’uso e mescolarla bene al mosto appena preparato; poi attendere un paio di giorni, intanto la bentonite in sospensione sarà scesa verso il basso trascinando con se una gran parte degli elementi da eliminare: naturalmente a questo punto bisogna travasare ed eliminare le fecce, altrimenti la fermentazione le rimetterebbe in circolo. Il sottozero prevede l’uso di fermentatori refrigerati con glicole propilenico che riescono a portare la massa del mosto fino a - 7 ° C., il mosto non ghiaccia per la grande quantità di zuccheri, ma tutti gli elementi da eliminare precipitano sul fondo e vengono eliminati con il travaso come nel metodo precedente: entrambe queste soluzioni sono costose e complicate, ma soprattutto adatte alle grandi quantità.
Il sapore del miele naturalmente influenzerà il gusto dell’idromele, e questa è una grande risorsa di questo prodotto perchè ci permetterà di avere centinaia di possibilità nella ricerca di idromeli diversi variando e mescolando tra loro le numerose specie di mieli italiani; ognuno sarà libero di scegliere se fare un idromele monoflorale o multiflorale; attenzione però che la fermentazione è un gran rimescolamento di carte solo l’esperienza ci dirà quale sarà il sapore finale.
Qualche apicoltore penserà di recuperare del miele troppo umido tipo edera o corbezzolo che ha iniziato la fermentazione, per fare dell’idromele; bisogna tener conto che la fermentazione del miele si avvia a carico dei lieviti indigeni del miele che non sono saccaromiceti, e che possono dare un gusto sgradevole; oltretutto, a carico del miele che inizia a fermentare si puo avviare quasi parallelamente un processo di acetificazione che nonostante il grado alcolico rilevante continua a svolgersi e da all’idromele quel sapore di spunto che lo rende inadatto alla vendita per l’acidità volatile troppo alta. Attenzione a non confondere l’acidita con l’acidità volatile: la prima è quella data dagli acidi organici e da all’idromele sensazione di freschezza; la volatile invece misurata in acido acetico è quella che da il sapore di spunto. Il miele di suo ha una acidità intorno a ph 4 che lo rende adattissimo alla fermentazione; ed infatti questo è uno dei massimi difetti del miele, che se ha una umidità superiore al 18 %, fermenta facilmente; ma se noi diluiamo il miele in acqua questa acidità crolla a livelli tali che la fermentazione risulta a rischio; dobbiamo quindi ripristinare l’acidità originale.
A questo punto abbiamo due possibilità che nel mondo dell’idromele sono due vere e proprie scuole di pensiero, quella francese e quella anglo-americana, ovvero acidificare con acidi organici o con succhi di frutta: entrambe hanno dei punti positivi e negativi e quindi in definitiva si tratta più di filosofie produttive che di scelte tecniche. Usare quindi dei succhi di frutta ricchi di acidificanti naturali ma anche di aromi che interferiranno col gusto finale dell’idromele o usare acido citrico e tartarico, malico o ascorbico che non daranno nessun gusto estraneo all’idromele permettendogli di dispiegare tutta la sua potenzialità olfattiva, che però non sono perfettamente naturali. Iniziamo col dire che la legge francese impedisce di chiamare idromele qualsiasi bevanda abbia nel processo produttivo succhi di frutta aggiunti, e che quindi l’acidificazione debba essere fatta attraverso l’aggiunta di acidi organici anche se di sintesi; in Italia, non esistendo una legge specifica sull’idromele si fa riferimento alle leggi generiche sulle bevande fermentate che permettono qualsiasi aggiunta a condizione che venga indicato in etichetta; io credo però che la legge francese risponda meglio alle esigenze produttive di un idromele moderno, che non si vergogni di essere tale, con i suoi sapori potenti ed il gusto persistente, che non insegua il vino cercando di somigliargli, che semmai debba crearsi il suo orticello di abbinamenti gastronomici che ne faccia qualcosa a parte rispetto al vino.
Una volta acidificato, al mosto va aggiunta l’anidride solforosa, che è indispensabile per distruggere tutti i mcrorganismi che potrebbereo interferire con la fermentazione che vogliamo provocare. E’ bene ricordare che i microrganismi naturalmente presenti nel miele possono dare sapori sgradevoli e quindi vanno eliminati; questa
eliminazione puo essere fatta anche mediante la bollitura del mosto di cui si parla in precedenza, ma allora perderemmo un’altra azione dell’anidride solforosa che funziona anche da regolatore della fermentazione, ed in ultima analisi da conservante per l’idromele finito. Solo dopo 24 ore, quando l’effetto dell’anidride solforosa è terminato, possiamo aggiungere i lieviti che troviamo in ogno negozio di enologia; il tipo di lievito sarà adatto al tipo di idromele che vorremo fare, e quindi un idromele dolce o secco, con una gradazione alcolica alta o bassa andranno inseminati con lieviti diversi; esistono lieviti che si disattivano a basse gradazioni alcoloche ed altri che tengono testa a gradazioni di tutto rispetto, dotati di fattore killer che gli permettono di essere i soli a sopravvivere nel mosto in fermentazione.
I lieviti o fermenti, trasformano gli zuccheri in alcool con una formula chimica che vi risparmio, e producono come sottoprodotto anidride carbonica, questo nella fase aerobica cioè in presenza di ossigeno, ma se noi vogliamo che l’alcoolicità sia consistente e poca anidride carbonica, dovremo far proseguire la fermentazione in modalità anaerobica, cioè al chiuso; dovremo quindi arieggiare il mosto in una prima fase per far partire bene la fermentazione, ma poi bisogna chiudere il tino ed applicare un gorgogliatore che permetta ai gas di uscire e all’aria di non rientrare. I lieviti devono anche nutrirsi, quindi una volta iniziata la fermentazione sarà utile aggiungere dei sali azotati che hanno questa funzione: attenzione alle quantità, seguire scrupolosamente i dosaggi indicati nella confezione, pena degli sgradevoli sapori metallici del prodotto finito.
Le temperature di fermentazione sono molto importanti; un idromele che fermenta a 28/30°C avrà una fermentazione molto breve ed un aroma di poca consistenza, fermentare a 12°C darebbe un idromele di grande potenza aromatica ma se si ferma la fermentazione non c’è verso di farla riprendere; quindi se avete un sistema di controllo della temperatura con dei tini refrigerati potete anche scendere fino a 18°C, sennò affidatevi al sistema sicuro di fermentare quando le temperature oscillano tra i 18 ed i 24° cioè in settembre o in aprile.
Molto utile in questa fase un mellimostimetro cioè un densimetro specifico per l’idromele; è un ampolla di vetro piombato con tre scale di lettura, la prima è la densità rispetto all’acqua, che va da 1000 a 1160, la seconda ci dice la quantità di miele per ettolitro che stiamo usando ed è utile nella preparazione del mosto, e la terza è il grado alcolico probabile che è però solo un dato di massima che può cambiare secondo lo svolgimento della fermentazione. Una volta misurata la densità del mosto possiamo ogni giorno misurare di nuovo questa densità e unire tutti i punti con una linea curva che ci da la perdita di densità, che i primi giorni è molto veloce e poi si attesta su una linea piatta, che ci dice che la fermentazione è terminata. Questa operazione come anche la misurazione delle temperature del mosto, è importante perche la produzione dell’idromele in questa fase è ancora un acquisizione di dati che ci permetterà di standardizzare la produzione.
Una volta terminata la fermentazione l’idromele va lasciato riposare per qualche mese facendo almeno tre travasi per eliminare le fecce; qualche giorno prima del travaso possiamo aggiungere e mescolare bene della bentonite con lo steso sistema sopra descritto, ci aiuterà a chiarificare il prodotto. Se il vostro idromele è dolce sarà il caso di passarlo con una filtrazione sterilizzante, che tende ad eliminare le spore dei lieviti ancora presenti, e che con il residuo zuccherino residuo in particolari condizioni di temperatura potrebbe far ripartire delle fermentazioni, insignificanti per la qualità del prodotto, ma che daranno un più o meno leggero deposito sul fondo della bottiglia. A questo punto l’idromele è pronto da imbottigliare; curate molto l’igiene in questa operazione, igiene delle bottiglie, dei tappi e delle attrezzature di imbottigliamento, non perché ci siano rischi per la salute di chi lo beve ma per i rischi di rifermentazione di cui abbiamo appena parlato. Mettetelo in una bella bottiglia non troppo grande, preparategli una bella etichetta con tutte le indicazioni di legge, ( il nome idromele, prodotto e confezionatoo da:, il lotto di produzione, il peso netto, il grado alcolico, gli ingredienti). E lasciatelo andare per il mondo a fare da ambasciatore della vostra attività, fregandovene di chi vi dice che non gli piace, che sa di medicina, che è troppo dolce, che è troppo forte. Ma attenzione, non mettete sul mercato un prodotto che non è all’altezza della situazione: rovinerebbe la vostra reputazione e quella di tutti gli altri produttori, so bene che ogni scarrafone è bello a mamma sua, ma cercate di osservarlo con occhio distaccato, con grande amore ma senza troppo amore, fatelo assaggiare e non negate i suoi difetti, se ne ha; siamo all’anno zero dell’idromele, tutto il lavoro di sperimentazione e di promozione è ancora tutto da fare, studiate e proponete abbinamenti gastronomici in grado di valorizzarlo, abbiamo tra le mani una grande possibilità di sviluppo della nostra attività, non sprechiamolo.
Qualcuno dirà che in quattro pagine non ho ancora dato nessuna ricetta, nessun consiglio sulla quantità di miele, sulle varietà di miele, sul tipo di lieviti, e non lo farò ora, perché non esiste un solo modo di fare idromele, ma molti; se vogliamo un idromele dolce, sarà anche un idromele molto alcolico e quindi la quantità di miele da sciogliere nel mosto dovrà essere valutata in sede di preparazione del mosto; ed io non rivelerò né le mie quantità di miele né le varietà da me usate non per una questione di riservatezza o di segreto ma per avere la massima variabilità possibile. Faccio un esempio; quando in Francia all’inizio del secolo scorso gli apicoltori francesi iniziarono la produzione dell’idromele, lo fecero seguendo l’esempio dell’idromele prodotto da sempre in Bretagna, lo “chouchenn”; lì era tradizione produrlo con miele di grano saraceno perché era la grande coltura del posto e quel miele era disponibile in grande quantità.
E quindi tutti lo copiarono anche nella composizione del miele, tanto che negli anni novanta quando andai a visitare i maggiori produttori di idromele francesi, i loro prodotti si somigliavano un po’ tutti pur avendo ad esempio nel Midi delle varietà di miele straordinarie; in Italia abbiamo una situazione ancora migliore, con le grandi varietà di mieli soprattutto del Sud, usiamo questa variabilità per fare idromeli diversi tra loro.
Alcuni suggerimenti sulla degustazione e sugli abbinamenti gastronomici: servitelo sempre fresco, 7/8°C, anche da solo come suol dirsi, da meditazione, l’idromele è un prodotto dal gusto complesso, raramente da tutto al suo primo assaggio, studiamone gli aromi alla ricerca dei mieli con cui e stato fatto. Ma se vogliamo servirlo al meglio abbiniamolo a dei grandi formaggi, è forse migliore , mi si perdoni l’impudenza, dei formaggi col miele, è più avvolgente, più immediato; ma anche a del fegato d’oca, a del lardo col miele e naturalmente con i dolci, pasticceria secca, cantucci, dolci dove non ci sia panna o crema, ma con la marmellata si, come una buona crostata.
In una recente degustazione è stata presentata una cialda di parmigiano ancora calda con una fetta di caciocavallo stagionato e sopra un sorbetto di idromele; il tutto cioè giocato su piani diversi, l’abbinamento dolce/salato, croccante/morbido, caldo/freddo.
Ma anche in cucina, si può preparare come il pollo al vi no o alla birra, il pollo all’idromele, o l’arista di maiale all’idromele: insomma non sarà la fantasia che ci manca.
Ed ora, per terminare, permettetemi di togliermi qualche sassolino dalla scarpa: l’idromiele con la i non esiste, cercatelo sul vocabolario, non lo troverete; è un errore, mal tollerato, per idromele. Se vi diranno di averne bevuto ad una festa celtica fatto con acqua, miele, ed alcool ditegli che quello non era né idromele né idromiele: Chi tollererebbe un vino fatto con acqua, alcool e polverine come quello delle truffe di qualche anno fa? E perchè dovremmo tollerarlo per l’idromele ? Eppure internet pullula di queste ricette ridicole, spacciate per idromele veloce, e anche quando si parla della ricetta dell’idromele vero si consiglia l’uso di grandi quantità di spezie, cannella, vaniglia, chiodi di garofano, zenzero, cardamomo, che sono si perfettamente legali ma sono il residuo di tecnologie antiche, quando era necessario coprire aromi sgradevoli col profumo delle spezie, come se il gusto dell’idromele fosse qualcosa da nascondere e da coprire: questa è mentalità da perdenti, come faremo a vendere ad altri un prodotto di cui non siamo convinti noi?
Alberto Mattoni