Sviluppo di resistenza ai fosforganici in Varroa Jacobsoni?


Introduzione
Nei primi anni '80, dopo la segnalazione dell'acaro VARROA JACOBSONI Oudemans in diversi Paesi dell'Europa occidentale, un tema spesso dibattuto nei numerosi convegni sull'argomento era l'eccessiva fiducia accordata ai trattamenti chimici, che non avrebbero costituito la soluzione definitiva del problema varroasi, soprattutto per l'elevato rischio di sviluppo di resistenza del parassita ai pochi acaricidi utilizzabili.
Tuttavia, solo nel corso degli ultimi anni, dopo che si sono toccate con mano le drammatiche conseguenze della diffusione dei ceppi di varroa resistenti ai piretroidi (LODESANI ET AL., 1995; MILANI, 1995), molti apicoltori, tecnici e ricercatori si sono mostrati veramente consapevoli della gravità del problema.
Non esiste acaricida al riparo dal rischio dello sviluppo di resistenza, in quanto i trattamenti determinano automaticamente la selezione di eventuali mutanti capaci di sopravvivere.
Il rischio è tanto più elevato, quanto più forte è la pressione di selezione a favore dei mutanti resistenti: in altre parole, quanto più ampiamente usato è il principio attivo e quanto più spesso viene ripetuto e più efficace è il trattamento (cfr. MILANI, 1996).
In Italia, nel corso degli ultimi anni, contro la varroa sono stati utilizzati prevalentemente prodotti a base di esteri fosforici, sia in formulati autorizzati per l'uso sulle api (Perizin®-Bayer), a base di coumaphos, sia in innumerevoli formulazioni empiriche, preparate estemporaneamente anche dagli stessi apicoltori con prodotti non autorizzati. L'uso ripetuto e spesso irrazionale di tali preparati non lascia spazio ad illusioni circa la possibilità di rallentare la selezione di varroe resistenti ad esteri fosforici. In caso di comparsa di ceppi resistenti, risulta essenziale un'informazione tempestiva sulla loro diffusione; è perciò necessario disporre di strumenti adatti a valutare l'efficacia di tali acaricidi sulla varroa.
Per questo motivo, presso l'Università di Udine è stato messo a punto un metodo di laboratorio (MILANI E DELLA VEDOVA, 1996) per misurare la suscettibilità della varroa al coumaphos e a una molecola ad esso strettamente analoga, il principio attivo del Cekafix, prodotto non autorizzato in Italia,modificando il metodo impiegato per fluvalinate, flumetrina e acrinatrina (MILANI, 1995).
Il metodo si è rivelato molto sensibile, al punto che si è potuta osservare una differenza modesta, ma costante, fra le varroe prelevate da stadi di covata diversi, presumibilmente in rapporto con le diverse condizioni fisiologiche e le variazioni di peso dell'acaro nei vari momenti del ciclo riproduttivo; le varroe prelevate da larve appena opercolate sono risultate le più suscettibili, quelle da pupe ad occhi bianchi le meno suscettibili; su queste ultime, l'«efficacia relativa» (relative potency) del principio attivo è risultata circa la metà di quella osservata sulle prime (MILANI E DELLA VEDOVA, 1996).
Un'occasione di impiego del saggio si è presentata in seguito alle osservazioni di LODESANI (1996), che ha riscontrato una ridotta efficacia del Perizin in alcune località della provincia di Reggio Emilia.
A tal fine è stata condotta un'indagine su varroe campionate in alcuni apiari di tale provincia; il materiale è stato portato a Udine e ivi analizzato per mezzo del saggio biologico. Si ritiene opportuno dare qui un breve resoconto dei risultati ottenuti.

Materiali e metodi
Nei mesi di maggio e settembre 1996 sono state prelevate porzioni di favo contenenti covata opercolata da alveari che durante l'anno precedente erano stati trattati con Apilife Var (Chemicals Laif) alla fine dell'estate, con Perizin e, successivamente, con una soluzione di acido ossalico a fine autunno, al fine di quantificare l'infestazione residua (LODESANI, 1996).
Le località in cui sono stati eseguiti i prelievi sono indicate in figura 1; per gli apiari in comune ad entrambe le prove, è stata utilizzata la stessa numerazione impiegata nel lavoro citato.






<----Fig 1.-Provincia di Reggio Emilia:località da cui sono stati campionate le varroe utilizzate nella presente sperimentazione. Gli apiari indicati con i numeri corrispondono a quelli utilizzati in una precedente ricerca (cfr.L'APE NOSTRA AMICA 18(5):5-9) mirante a stabilire i livelli di efficacia di trattamenti con Perizin; gli apiari indicati con lettere non erano stati oggetti di indagine.

I favi prelevati a maggio contenevano quasi esclusivamente covata opercolata di fuco con larve e pupe in stadi di sviluppo diversi, compresi fra quello di larva appena opercolata e di pupa ad occhi rosa; in prevalenza si trattava di prepupe (Tab.1).

Tab 1.Elenco degli apiari,numero di varroe utilizzate nei saggi(totale e per concentrazione considerata) e stadio dell'ape da cui sono state prelevate.
Maggio Settembre
ApiarioN.varroeStadio covataN.varroeStadio covata
55pupa a occhi neri150pupa a occhi bianchi
60covata stadi diversi
6150prepupa
30pupa a occhi neri
7a6larva e prepupa 60covata a stadi diversi
7b5larva e prepupa180pupa a occhi bianchi
120pupa a occhi neri
92larva e prepupa45pupa a occhi bianchi
55pupa a occhi neri
A45covata stadi diversi
B6pupa a occhi rosa
C1larva e prepupa


I favi prelevati a settembre contenevano invece larve e pupe di operaia in stadi di sviluppo compresi fra quello di prepupa e quello di pupa ad occhi neri e torace chiaro (Tab. 1). In entrambi i casi, i saggi biologici sono stati condotti entro due giorni dal prelievo.
Le cellette sono state disopercolate e le femmine adulte di varroa presenti sono state raccolte separatamente, per ogni apiario e a seconda dello stadio di sviluppo della covata. Quando le varroe erano in numero sufficiente, quelle prelevate da covata in stadi di sviluppo diversi sono state saggiate separatamente; in caso contrario, le varroe provenienti da uno stesso apiario sono state saggiate insieme, a prescindere dallo stadio di sviluppo della covata.
Le varroe sono state quindi introdotte in capsule il cui interno era ricoperto interamente di paraffina contenente concentrazioni note di coumaphos e ivi mantenute per quattro ore; successivamente, esse sono state trasferite in scatole Petri pulite con larve d'ape su cui potessero nutrirsi.
Le osservazioni relative al tasso di sopravvivenza sono state eseguite 4, 24 e 48 ore dopo l'inizio del saggio (MILANI E DELLA VEDOVA, 1996).
Le prove eseguite miravano a determinare se vi fosse stato un aumento nella concentrazione capace di uccidere pressoché tutte le varroe, Piuttosto che possibili variazioni nella concentrazione letale mediana.
Per questo, le concentrazioni utilizzate sono state prossime o superiori alla CL99 (concentrazione tale da uccidere il 99% delle varroe suscettibili) determinata negli esperimenti del 1995 su acari mai trattati con il coumaphos (Tab. 2): quando il numero di varroe era limitato, esse sono state sottoposte alla concentrazione di 50 ed eventualmente 100 ppm, in modo da avere indicazioni dirette sulla percentuale di acari potenzialmente resistenti; quando il numero di varroe lo consentiva, il saggio è stato condotto alle concentrazioni 0 (testimone), 20, 50, 100, 200, 500 ppm, in modo da ottenere anche informazioni sull'entità di eventuali aumenti della tolleranza (in altre parole, sul grado di resistenza).

Tab.2-Suscettibilità di una popolazione di varroa mai trattata con coumaphos o altri esteri fosforici: valori della CL50(concentrazione letale mediana) e sopravvivenza attesa a 50 ppm in base al modello dei probit su varroe prelevate da covata di stadi diversi sulla base dei dati di MILANI e DELLA VEDOVA,1996(valori in parte non pubblicati).
Tempo osservazioneCL50sopravvivenza attesa a 50 ppm
(h)larva appena opercolatapupa occhi bianchipupa occhi nerilarva appena opercolatapupa occhi bianchipupa occhi neri
245.712.68.50.001%0.65%0.06%
484.59.86.3 < 0.001%0.05%0.16%


I confronti con il ceppo suscettibile studiato nel 1995 sono stati fatti utilizzando i dati relativi a varroe prelevate da covata dello stesso stadio; al fine di stabilire con certezza l'esistenza di eventuali incrementi nella tolleranza al coumaphos, nei casi in cui ci si è trovati costretti a utilizzare varroe prelevate da covata di stadi diversi o da prepupe (per le quali non si dispone di dati di riferimento, in quanto la condizione fisiologica della varroa durante questa fase è variabile), il confronto è stato eseguito con varroe prelevate su pupe ad occhi bianchi, precedentemente rivelatesi le meno suscettibili (MILANI E DELLA VEDOVA, 1996).

Risultati
Nelle indagini condotte a maggio, il livello di intestazione è risultato estremamente basso; sono state ispezionate accuratamente circa 8000 cellette di covata su nove favi, ricavando, in totale, solo 25 varroe, in gran parte rinvenute su larve opercolate da poco e su prepupe. Saggiate a 50 ppm, due di queste varroe sono rimaste vive 24 ore dopo l'esposizione al coumaphos e una non mostrava alcun segno di intossicazione neppure dopo 48 ore.
Nel mese di settembre, si è osservata una notevole variabilità dell'infestazione nei diversi favi prelevati; in alcuni casi, essa è risultata molto elevata, sino al 100%.
E' stato così possibile condurre alcuni saggi utilizzando una serie completa di concentrazioni.
Come riscontrato nelle prove condotte in precedenza (MILANI, 1995; MILANI E DELLA VEDOVA, 1996), la mortalità naturale è stata irrilevante (in totale, è morta una sola varroa su oltre cento saggiate nelle capsule testimone), così da rendere trascurabile la relativa correzione di Abbott, soprattutto per mortalità prossime al 100%.
Alla concentrazione di 20 ppm, in parecchi casi la mortalità è risultata inferiore a quella della popolazione di riferimento, sia a ventiquattro ore (figure 2-4) sia a quarantotto ore.

<----Fig.2-Mortalità a 24 ore osservata nella presente sperimentazione per gliacari provienenti dagli apiari 5,7b,9, prelevati da pupe ad occhi bianchi,e mortalità nella popolazione di riferimento(curva ottenuta sulla base del modello dei probit per varroe prelevate da pupe ad occhi bianchi).


Le differenze sono risultate altamente significative [test del x2,(chi quadrato) P<0.2%] per l'apiario 7b, sia per le varroe prelevate da pupe ad occhi bianchi, sia per quelle da pupe ad occhi neri, tanto a 24 quanto a 48 ore.
Sono risultate significative anche le differenze relative all'apiario 6 (varroe da prepupe, confrontate con quelle da pupe ad occhi bianchi), ma non quele relative agli acari, prelevati da pupe ad occhi bianchi, provenienti dall'apiario 5.


<----Fig.3-Mortalità a 24 ore osservata nella presente sperimentazione per gliacari provienenti dagli apiari 6,7b,9, prelevati da pupe ad occhi neri,e mortalità nella popolazione di riferimento(curva ottenuta sulla base del modello dei probit per varroe prelevate da pupe ad occhi neri.

Infine, i campioni prelevati da covata di stadi diversi degli apiari 5 e 7a non hanno presentato differenze significative rispetto a quelli prelevati da pupe ad occhi bianchi a Udine nel 1995; d'altronde, l'eterogeneità degli acari utilizzati e il termine di confronto prescelto non consentivano di evidenziare variazioni relativamente modeste.

<----Fig.4-Mortalità a 24 ore osservata nella presente sperimentazione per gliacari provienenti dagli apiari 5,6,7a,A, prelevati da covata di stadi diversi pupe ad occhi neri,e mortalità nella popolazione di riferimento(curve ottenuta sulla base del modello dei probit e relative a varroe prelevate da larve appena opercolate e da pupe ad occhi bianchi rispettivamente).


A 50 ppm, su 214 varroe saggiate ne sono sopravvissute sei a 24 ore (cfr. figg. 2-4) e tre a 48 ore. In questo caso non è possibile usare i test statistici relativi al confronto di porporzioni per valutare la significatività delle differenze rispetto ai dati di Udine; tuttavia, la proporzione di varroe sopravvissute è superiore a quella attesa in base al modello dei probit applicato a tali dati.
A 100, 200 e 500 ppm la mortalità della varroa è risultata del 100% su un totale di 200, 140 e 90 varroe rispettivamente.

Discussione
I dati ottenuti mostrano un indubbio aumento della tolleranza di V. JACOBSONI al coumaphos, relativamente al campione di riferimento considerato. Tuttavia, essi non consentono di determinare l'entità della variazione, in quanto sono compatibili sia con un incremento modesto della tolleranza delcomplesso della popolazione (un aumento di un fattore due o tre spiegherebbe come si siano osservate varroe capaci di sopravvivere a 50 ppm, ma non a dosi superiori), sia con la presenza di una percentuale molto piccola di varroe resistenti anche a concentrazioni più elevate, accidentalmente non incluse nei gruppi di acari saggiati a dosi superiori a 50 ppm(1).
(1) È peraltro opportuno osservare che il saggio di laboratorio non è in grado di mettere in evidenza forme di resistenza, molto rare, basate su meccanismi comportamentali(cfr.LOCKWOOD et al., 1985)piuttosto che fisiologici, cioè sulla capacità di abbandonare rapidamente le aree in cui la concentrazione di acaricida è pericolosa per l'acaro; infatti,tutta la superficie interna delle capsule utilizzate è coperta di paraffina contenente una concentrazione uniforme di coumaphos.

I dati ottenuti nella presente indagine non possono essere confrontati statisticamente con i risultati delle prove in campo, sia per la complessità dei fattori che intervengono a determinare la caduta degli acari in seguito a un trattamento, sia perché, in tali apiari, gli acari sopravvissuti al trattamento con Perizin erano stati abbattuti con acido ossalico. Tuttavia, si può osserare che negli apiari da cui provenivano le varroe che hanno fatto registrare uno scostamento più sensibile rispetto alla popolazione di riferimento, l'efficacia del Perizin nel 1995 era stata inferiore al 65%. I risultati, pur non consentendo di trarre conclusioni certe e definitive circa l'esistenza di ceppi di V. JACOBSONI resistenti al coumaphos, suonano come ulteriore allarme al riguardo, anche in considerazione del fatto che le colonie da cui sono stati prelevati gli acari utilizzati per i saggi erano state sottoposte ad ulteriori trattamenti con principi attivi diversi, che hanno contribuito a ridurre la pressione di selezione a favore della resistenza all'estere fosforico. Inoltre, a causa della ristretta area in cui l'indagine è stata condotta, non è possibile stabilire se ci si sia trovati a riscontrare un fenomeno al suo nascere o se il territorio d'indagine costituisca la periferia di un più ampio areale interessato al problema.

Considerazioni conclusive
Le sostanze chimiche che colpiscono efficacemente la varroa senza arrecare danno all'ape sono poche, e occorre fare ogni sforzo per evitare di renderle rapidamente inefficaci, una dopo l'altra. D'altra parte, i dati qui esposti sottolineano quanto sia precario affidare la lotta contro la varroa esclusivamente a interventi chimici; è urgente approfondire gli studi sulla biologia dell'acaro e sui suoi rapporti con l'ape, in modo da pervenire alla messa a punto di programmi di lotta integrata e alla selezione di api almeno parzialmente tolleranti la varroa.

BIBLIOGRAFIA
LOCKWOOD J.A., BYFORD R.L., STORY R.N., SPARKS T.C., QUISENBERRY S.S. (1985) BehavioraL resistance to the pyrethroids in the horn fly, Haematobia irritans (Diptera: Muscidae). Environm. Entomol. 16: 873-880.

LODESANI M. (1996) Variabilità dell'efficacia terapeutica ottenuta con trattamento di Perizin. L'ape nostra amica, 18 (5): 5-9.

LODESANI M., COLOMBO M., SPREAFICO M., (1995) Ineffectiveness of Apistan® treatment against the mite Varroa jacobsoni, Oud in several districts of Lombardy (Italy), Apidologie 26:67-72.

MILANI N. (1995) The resistance of Varroa jocobsoni Oud. to pyrethroids: a laboratory assay. Apidologie 26:415-429.

MILANI N. (1996) La resistenza di Varroa jacobsoni agli acaricidi: cosa ci hainsegnato il caso del fluvalinate. Apitalia 23(4):16-22.

MILANI N.,DELLA VEDOVA G.(1996) Determination of the LC50 in the mite Varroa jacobsoni of the active substances in Perizin and Cekafix. Apidologie 27(3):175-184.

Riassunto
Allo scopo di verificare la presenza di ceppi di Varroa jacobsoni resistenti al coumaphos in provincia di Reggio Emilia - in cui prove di campo avevano mostrato un decremento dell'efficacia del Perizin - circa 1000 acari campionati in alcuni apiari di tale area sono stati sottoposti a un saggio di laboratorio.
In alcuni campioni, la tolleranza a una concentrazione di coumaphos di 20 ppmè risultata significativamente maggiore di quella osservata in una popolazione suscettibile; una proporzione di acari prossima all'1.5% è sopravvissuta a 50 ppm(mortalità attesa ~99,9%); tutti gli acari (cirrca 430)saggiati a 100-500 ppm sono morti.
I risultati mostrano un aumento della tolleranza al coumaphos in alcune delle popolazioni studiate; pur non consentendo di concludere con certezza che in esse sia presente una piccola percentuale di acari altamente resistenti, i dati suonano come allarme al riguardo.
Summary
Adult female Varroa jacobsoni mites were sampled in the province of Reggio Emilia (Northern Italy), where field trials had shown a decreased efficacy of Perizin in some apiaries, and assayed for resistance to coumaphos by using a laboratory test. In some samples, the tolerance at 20 ppm coumaphos was significantly larger than that observed in a reference susceptible population; 1.5% mites of the mites assayed at 50 ppm survived (expected survival in a susceptible population ~ 0.1%), but all the 430 mites assayed at 100-500 ppm died.
These data show an increase in the tolerance to coumaphos at least in some apiaries, but do not make it possible to conclude that a small proportion of highly resistant mites is present.
Giorgio Della Vedova*,Marco Lodesani**,Norberto Milani*
*Dip. di Biologia applicata alla Difesa delle Piante,Università di Udine
**Istituto Nazionale di Apicoltura,Bologna.

Da l'APE NOSTRA AMICA numero 1 gennaio-febbraio 1997