Bicentenario della nascita di Charles Darwin (12 febbraio 1809) e 150 anni dalla pubblicazione dell’Origine delle specie
Istinto di fabbricazione delle cellette nell'ape mellifera
In questa sede non mi addrenterò in minuti particolari sull'argomento, limitandomi a fare un accenno alle conclusioni generali alle quali sono giunto.
Bisogna essere ben ottusi per osservare la delicatissima struttura di un favo, tanto mirabilmente adattata allo scopo,senza un'ammirazione entusiastica.Sentiamo dai matematici che le api hanno risolto praticamente un problema assai astruso ed hanno costruito le cellette nella forma adatta a contenere la massima quantità possibile di miele impiegando per la loro costruzione la minima quantità possibile di preziosa cera.
E' stato rilevato che un abile artigiano, con strumenti adatti e prendendo le misure, incontrerebbe molta difficoltà a dare alle celle la giusta forma, come invece uno sciame di api riesce a fare lavorando nell'oscurità dell'alveare. Si possono attribuire all'istinto tutte le qualità che si vuole,però,di primo acchito,sembra assolutamente inconcepibile come possano ottenere tutti gli angoli e i piani necessari e persino accorgersi di averli fatti nel modo corretto. Ma la difficoltà non è neppure alla lontana grande come appare a prima vista: direi che si può dimostrare che tutto questo bel lavoro è prodotto da alcuni istinti semplicissimi.
Sono stato indotto a studiare l'argomento dal signor Waterhouse, il quale ha dimostrato che la forma della celletta è in intimo rapporto con la presenza di celle vicine ad essa e quanto verrò dicendo può forse essere considerato come una semplice modifica alla mia teoria. Prendiamo in considerazione il grande principio della gradualità e vediamo se la
natura ci rivela i suoi metodi di lavoro. Ad un'estremità di una breve serie si trovano i bombi che sogliono impiegare i vecchi bozzoli per contenervi il miele, talvolta con l'aggiunta di un corto tubo di cera, costruendo anche cellette di cera separate,grossolanamente tondeggianti.
All'altro capo della serie abbiamo le celle dell'ape mellifera, disposte in duplice strato:ciascuna celletta, come è ben noto, è un prisma esagonale,con il lato di base delle sei pareti sistemato in modo da formare una piramide di tre rombi.
Questi rombi hanno determinati angoli ed i tre angoli che formano la base piramidale di una singola celletta su un lato del favo entrano nella composizione delle basi di tre cellette adiacenti nel versante opposto.
Nella serie tra la perfezione estrema delle celle dell'ape e la semplicità di quella del bombo, abbiamo le celle della-Melipona-domestica del Messico, descritta e disegnata con cura da Pierre Huber.
La Melipona stessa ha una costituzione intermedia fra l'ape ed il bombo, con maggiori affinità con questo ultimo:essa costruisce un favo di cera di celle cilindriche quasi regolari-nelle quali si schiudono le uova- oltre ad alcune grandi celle di cera per conservare il miele.
Queste celle sono praticamente sferiche ed hanno dimensioni pressoché uniformi. Sono aggregate a formare un ammasso irregolare. Ma quel che più conta è che le celle sono quasi sempre costruite così vicine le une nelle altre. Però queste api non lo permettono e, tra le sfere, costruiscono pareti di cera perfettamente piane. Così le sfere tendono alla intersezione.
Dunque ciascuna cella consiste di una porzione sferica esterna e di due, tre o più superfici, perfettamente piane,a seconda che la cella sia circondata da una,due, tre o più cellette. Quando una cella entra in contatto con altre tre celle, caso, questo, assai frequente e necessario(dato che le sfere hanno dimensioni quasi identiche), le tre superfici piane confluiscono a piramide e questa piramide,come è stato rilevato da Huber è chiaramente un'imperfetta imitazione della base piramidale a tre facce delle celle dell'ape mellifera. Come nelle celle dell'ape, così qui le tre superfici piane di ciascuna cella entrano necessariamente a far parte della costruzione di tre celle adiacenti. E' chiaro che la Melipona, con questo modo di costruire, risparmia la cera, perché le pareti piane fra celle adiacenti non sono doppie, ma hanno lo stesso spessore delle pareti sferiche esterne ed ogni parete fa parte di due celle.
Riflettendo su questo fenomeno, mi è venuto in mente che, se la Melipona avesse continuato le sue sfere ad una certa distanza le une dalle altre e le avesse fatte di dimensioni uniformi e le avesse disposte simmetricamente in doppio strato la struttura risultante probabilmente sarebbe stata perfetta come quella dell'ape mellifica. Allora ho scritto al prof. Miller di Cambridge e questo geometra ha gentilmente esaminato la seguente nota,tratta dai dati da lui stesso fornitimi, confermando che è assolutamente corretta:-Se si costruisce un gruppo di sfere aventi uguali i centri disposti su due piani paralleli e se il centro di ciascuna sfera dista dal centro delle sei sfere adiacenti appartenenti allo stesso strato, quanto il raggio della sfera moltiplicato per radice quadrata di 2(ossia 1,4...)- oppure se è situato a una distanza minore- e se inoltre, si trova alla stessa distanza dai centri delle sfere adiacenti situate nell'altro strato parallelo,ai due strati, ne risulterà un doppio strato di prismi esagonali uniti da basi piramidali formate da tre rombi. I rombi e le facce dei prismi esagonali avranno tutti gli angoli esattamente identici a quelli rilevati con le più accurate determinazioni condotte nelle celle delle api.
Quindi possiamo concludere con sicurezza che basterebbe modificare appena un po' gli istinti di cui la Melipona è già dotata, e che in sé non sono poi tanto stupefacenti, e questa ape costruirebbe una struttura tanto meravigliosamente perfetta quanto quella dell'ape mellifera. Dovremmo supporre che la Melipona fabbricasse celle esattamente sferiche e di dimensioni uguali, e questo non sarebbe tanto sorprendente dato che già lo fa fino a un certo punto, osservando inoltre come molti insetti riescano a scavare nel legno fori perfettamente cilindrici, evidentemente girando intorno ad un punto fisso. Dovremmo supporre che le Melipone disponessero le celle in strati pianeggianti, come già fanno con le celle cilindriche; inoltre dovremmo supporre- e questa è la difficoltà maggiore-che ciascun insetto fosse in grado di decidere con una certa precisione a quale distanza tenersi dai compagni di lavoro, quando sono in molti a costruire. Ma già adesso sa giudicare le distanze, dato che costruisce le sfere in modo che si intersecano in larga misura e quindi collega i punti di intersecazione con superfici perfettamente piane.[Dovremmo ancora supporre, ma questa non è una difficoltà,che, dopo aver formato i prismi esagonali mediante intersezione delle sfere adiacenti di ciascuno strato, sapesse dare all'esagono la giusta lunghezza per contenere la riserva di miele, nello stesso modo in cui il grossolano bombo aggiunge cilindri di cera alla bocca circolare dei vecchi bozzoli]. Grazie a modificazioni di istinti di per sé non estremamente sorprendenti-non più sorprendenti di quelli che guidano un uccello nella costruzione del nido-l'ape mellifera deve, secondo me,aver acquisito le sue inimitabili capacità architettoniche.
Ma questa teoria può esser convalidata sperimentalmente. Seguendo l'esempio del sig. Tegetmeier, ho separato due favi e ho inserito fra di loro una lunga grossa striscia di cera a sezione quadrata. Le api hanno cominciato subito a scavarvi minuscoli fiorellini circolari. A mano a mano che approfondivano lo scavo, modificavano i fori sino a trasformarli in conche poco profonde, aventi un diametro quasi uguale a quello di una cella, le quali apparivano all'occhio come sfere o parti di sfera assolutamente perfette.Era quanto mai interessante trovare che, ovunque le varie api avevano cominciato a scavare queste fossette le une vicine alle altre, avevano dato inizio ai lavori a una distanza tale che, al momento in cui le fossette avevano raggiunto la larghezza che ho detto (ossia circa quella di una normale cella), ed avevano una profondità pari a circa un sesto del diametro della sfera di cui formavano una parte, i margini delle fossette si intersecavano o si aprivano gli uni negli altri. Non appena giungevano a questo punto le api cessavano di scavare e cominciavano a innalzare pareti piane di cera nelle linee di intersezione tra le fossette, così che ciascun prisma esagonale veniva costruito sul bordo irregolare di una fossetta rotondeggiante, anziché sui margini rettilinei di una piramide triangolare, come nel caso delle normali cellette.
Poi ho messo nell'alveare, invece di un pezzo di cera spesso e quadrato, una striscia stretta e sottile, a lama di coltello, colorata in rosso. Le api hanno cominciato subito a scavare fossettine ravvicinate su entrambele facce,nello stesso modo di prima, però la striscia di cera era talmente sottile che il fondo delle fossette da un lato si sarebbe aperto in quello delle fossette dell'altro lato, se la profondità fosse stata uguale a quella di cui all'espèerienza precedente. Però le api non hanno permesso che ciò accadesse, e hanno smesso di scavare al momento giusto. Per questo le fossette, appena un po' approfondite, hanno acquistato un fondo piatto. Questi fondi piatti, formati da piccole e sottili piastre di cera rossa, non scavata, erano disposti,da quanto si poteva giudicare ad occhio, esattamente secondo il piano immaginario di intersezione tra le fossette situate sulle facce opposte della striscia di cera.Tra le fossette opposte in alcune parti erano stati lasciati solo piccoli tratti di cera pianeggiante, in altre parti erano rimaste larghe zone di forma rombica, e il lavoro, a causa della situazione non naturale, non era stato compiuto in modo molto preciso. Le api dovevano aver lavorato quasi alla stessa velocità delle facce opposte della striscia di cera tinta in rosso; infatti avevano eroso e scavato su entrambe le facce delle fossette circolari, riuscendo in tal modo a lasciare delle facce piane fra le fossette col sistema di sospendere il lavoro lungo i piani intermedi o piani di intersezione.