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All’api.
Verginelle volanti,
peregrine lucenti,
vivi globi minuti, ori spiranti,
spiritelli de l’aria, atomi ardenti,
luminose faville, auree facelle,
del bel cielo d’april correnti stelle.
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Delicate maestre,
che spiate l’interno
de l’erbette e dei fior, veloci e destre,
e con modo sollecito ed alterno
delibando avidette umor soavi,
da le poppe dei fior traete i favi.
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Ingegnose testrici,
fabbre altere ed illustri,
che con aghi pungenti ite felici
tessendo in ricche celle ordini industri,
e con quell’arte che vi diè natura,
fate d’aureo licor bionda testura.
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Garrulette guerriere
che con gradi inequali
nel bel campo de l’aria uscite a schiere,
e per altri ferir d’acuti strali,
de la battaglia al susurrar che fate,
quasi stridula tromba, il segno date.
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Pargolette romite,
che fra taciti monti
e tra valli abitar dolce gradite,
e con murmur soave appresso i fonti,
quasi nuvole d’or rotanti e vaghe,
girate in aria inamorate e vaghe,
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voi, che dolce pioveste
ne la tenera bocca
del tebano cantor manna celeste,
(se pur tanto dal ciel sortir mi tocca)
addolcite il mio canto, onde simìle
al bel nettare vostro esca il mio stile.
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